8 Febbraio 2019

“IL MIO NOME E’ GRETA THUNBERG” – ciclo di lezioni multidisciplinari sui cambiamenti climatici

Il mio nome è Greta Thunberg, ho 15 anni e vengo dalla Svezia” – si è presentata così alla Conferenza Onu sul clima di Katowice in Polonia la ragazzina svedese che da tempo fa sciopero a scuola ogni venerdì per chiedere al governo svedese e agli altri stati di agire concretamente per arginare i cambiamenti climatici.  “Molti pensano che la Svezia sia un piccolo paese e a loro non importa cosa facciamo. Ma io ho imparato che non sei mai troppo piccolo per fare la differenza. E se alcuni bambini possono ottenere titoli di giornale in tutto il mondo solo non andando a scuola, allora immaginate cosa potremmo fare tutti insieme se lo volessimo davvero”.

L’immagine di quella ragazzina così minuta, così determinata, per nulla intimorita di fronte ai “grandi della Terra” mi fatto riflettere sull’impegno che ognuno di noi può dare per contrastare il fenomeno globale dei cambiamenti climatici.

E così dovendo organizzare il corso di urbanistica del secondo semestre 2018-19 ho pensato di scegliere come tema d’anno i “cambiamenti climatici” – o meglio – “come le città del futuro sapranno reagire agli effetti dei cambiamenti climatici”, e affiancare al programma istituzionale di apprendimento, un ciclo di incontri tematici invitando scienziati di diverse discipline.

L’obiettivo è quello offrire agli studenti di Architettura un panorama multidisciplinare su queste tematiche, in previsione del ruolo di grande responsabilità che li attende: diventare i progettisti di una città del futuro che sempre più si dovrà confrontare con gli effetti dei cambiamenti del clima.

Il ciclo di lezioni è sviluppato attraverso 9 incontri con esperti di settore provenienti da tutta Italia che si confrontano, ognuno dal punto di vista della sua disciplina, sul global warming: dal meteorologo al medico, dall’economista al geopolitico, dal geologo all’oceanografo, dal biologo all’architetto.

Ogni lezione si concluderà con un breve dibattito, animato dagli studenti del corso, a cui sono invitati a partecipare tutti coloro che sono interessati: studenti di altri corsi di laurea, associazioni ambientaliste, ordini professionali, semplici cittadini, etc.

Non mi resta che ringraziare il prof. Piero di Carlo e i miei assistenti per l’aiuto all’organizzazione, augurare di cuore a tutti gli studenti un buon secondo semestre accademico e ringraziare Greta che con le sue parole semplici e sincere ha colto efficacemente il nocciolo della questione: “Abbiamo finito le scuse e stiamo finendo il tempo”.  E’ l’ora che ciascuno di noi, nel nostro piccolo, si dia da fare!

21 Dicembre 2018

UN DOLCE AUGURIO DI BUON NATALE

Diverse sono le leggende che narrano della nascita del pandolce genovese, il simbolo natalizio per eccellenza di Genova.

La più diffusa vuole che sia stato il doge Andrea Doria, nel ‘500, a bandire un concorso tra i maestri pasticceri di Genova per la creazione di un dolce rappresentativo della città. Il dolce doveva essere nutriente e di lunga conservazione, da tenere in cambusa durante i lunghi viaggi in mare.

Una tesi più accreditata è quella dello storico genovese Luigi Augusto Cervetto (1854-1923) che sostiene che la nascita del pandolce genovese sia ancora precedente, documentando la sua derivazione da un dolce persiano a base di frutta secca, pinoli e frutta candita assaggiato dai marinai genovesi già nell’undicesimo secolo nel corso degli scambi commerciali con le basi portuali della Repubblica nel Mediterraneo orientale.

In ogni caso – quindi – molto prima che il Duca di Milano assaggiasse la prima fetta di panettone, nelle case dei genovesi veniva realizzato “o pandöçe” che col tempo sarebbe divenuto il simbolo indiscusso del rito natalizio genovese.

A Genova ogni famiglia  custodisce la sua ricetta “segreta” del pandolce. Essendo la lievitazione importantissima, le scignùe (signore) fino al secolo scorso “se lo portavano addirittura a letto!”, ponendolo sotto le coperte, accanto al prete che racchiudeva lo scaldino. Poi il giorno dopo lo cuocevano nel runfò (cucina a legna), oppure più frequentemente lo portavano dal fornaio di fiducia. Sino ai primi del 900 nessuna pasticceria o forno genovese vendeva direttamente il pandolce, ma tutte fornivano il servizio di cottura.

La tradizione impone che, arrivato il pandolce in tavola, il papà legga ad alta voce le letterine che i figli gli hanno messo sotto il piatto, e i bimbi recitino la poesia stando in piedi sulla sedia.  A quel punto il più giovane della famiglia toglie il ramoscello di ulivo o di alloro (simbolo di benessere e fortuna) conficcato sul pandolce, e il  capo famiglia taglia il pandolce offrendo la prima fetta alla mamma per l’assaggio per poi distribuirlo ai commensali.  Sempre secondo tradizione una fetta va conservata per il primo viandante che bussa alla porta e un’altra viene avvolta in un tovagliolo e messa da parte per essere mangiata – un pezzettino a testa – il 3 febbraio, giorno di San Biagio protettore della gola.

Regalare il pandolce di famiglia fatto in casa ad una persona cara è un gesto importante che sancisce l’amicizia e l’unione tra le due famiglie e il rispetto reciproco che esse si porteranno… almeno fino al Natale successivo.

Insomma… Evviva il pandolce genovese!  e buon Natale a tutti!!

 

13 Dicembre 2018

BUON ANNO ACCADEMICO 2018-19!

Lo confesso… mi sono commosso!

Ieri c’è stata la cerimonia di inaugurazione dell’a.a. 2018-19 della mia Università G. d’Annunzio… e mi sono commosso!

L’Università è uno di quei (pochi) luoghi dove si perpetuano tutt’oggi antiche cerimonie in forma solenne, senza cadere nel caricaturale.

In genere le cerimonie accademiche molto formali a partire dall’uso delle toghe e degli ermellini fino ai rituali come il Corteo dei Direttori o la Lectio Magistralis.   Vi partecipano in pompa magna autorità accademiche, civili, religiose e militari del territorio di appartenenza.   Sono momenti istituzionali intensi, che però difficilmente toccano le corde più profonde dei sentimenti; ma quest’anno c’era lui… l’uomo che con i suoi testi ha segnato tutta la mia adolescenza: Giulio Rapetti in arte… MOGOL!  L’altra metà di Lucio Battisti.

E così quando per omaggiare la sua arte gli abbiamo consegnato l’onorificenza della Minerva ed una nostra studentessa nel silenzio più profondo dell’auditorium ha cominciato un medley di alcuni suoi celeberrimi brani intonando le note di “Emozioni”… una lacrima è scappata al mio controllo e ha cominciato a rigarmi il volto!

E vi assicuro che non ero l’unico perché nel giro di pochi istanti in sala si sono cominciate ad aprire frettolosamente borsette, cercare fazzoletti, stropicciarsi gli occhi… quasi come se una nuvola di commozione “lacrimogena” si fosse posata in quel momento sulla platea.

Uno di quei momenti in cui fa piacere esserci stato.  Uno di quei momenti in cui si sente forte l’orgoglio di appartenenza alla comunità scientifica.

Buon anno accademico a tutti!

Qui Mogol mi sta spiegando i suoi “mille” progetti in corso tra cui alcune interessanti soluzioni di edilizia ecosostenibile!  Mi sa che ci possano essere le premesse per una futura Laurea Honoris causa in Architettura…!
Il palco
Inaugurazione Anno Accademico 2018/2019

La cerimonia dell'Inaugurazione dell'Anno Accademico - il "grande abbraccio col quale l'Università d'Annunzio si apre per accogliere quanti vogliono conoscerla e desiderano vivere con essa il momento più importante dell'intero anno", come l’ha definita il Magnifico Rettore Sergio Caputi, si è tenuta il 12 dicembre 2018.

Pubblicato da Università degli Studi "Gabriele d'Annunzio" su Lunedì 17 dicembre 2018
6 Settembre 2018

TEST INGRESSO ARCHITETTURA: AUGURI RAGAZZI… IL FUTURO E’ VOSTRO!

Come ogni anno in questa stagione si perpetua il rito dei test di ingresso alle facoltà a numero chiuso: università affollate, facce segnate dalla tensione, genitori in apprensione, bar pieni di avventori, etc.  È certamente un momento importante per tutti questi giovani e per le loro famiglie, dove è in gioco una buona parte dei loro sogni.

Nel panorama nazionale sono oramai diversi anni che si registra una diminuzione delle iscrizioni ai test di ingresso dei corsi di laurea in Architettura.  Quest’anno le iscrizioni a livello nazionale sono state 7.986 contro le 9.340 del 2017: in un solo anno c’è stato un calo di ben 1.354 domande, il 15% sul totale!

Il fenomeno è strutturale e riguarda la crisi economica e la contrazione del mercato edilizio di quest’ultimo decennio, oltre ad un oggettivo surplus di architetti per abitante rispetto alla media europea. Anche da noi a Pescara si è registrato un calo di domande per il corso di laurea in Architettura passando dai 120 iscritti al test dello scorso anno ai 100 di quest’anno.

Con il meccanismo delle seconde scelte (la possibilità dei candidati di esprimere più di una preferenza della sede universitaria) ci attendevamo anche quest’anno poco più di un centinaio di matricole, ma poi è successo un fatto imprevedibile…

Quest’anno i test di ingresso obbligatori per l’iscrizione alla laurea magistrale LM4 in Architettura sono stati particolarmente selettivi! (Ricordo – a beneficio di chi non lo sappia – che i test sono identici in tutto il territorio nazionale e che le domande sono preparate dal Ministero attraverso il Consorzio Cineca).  Alcuni dati per comprendere il fenomeno.  A livello nazionale nel 2017 ci sono state 9.340 iscrizioni al test di ingresso di Architettura; 7.861 sono stati coloro che si sono effettivamente presentati (l’84% degli iscritti) e 7.704 sono stati coloro che hanno superato il test (il 98% dei presenti).  Quest’anno a fronte di 7.986 iscritti al test  (l’85% rispetto al 2017) e 6.779 presenti (l’85% degli iscritti) solo 5.720 sono risultati idonei (l’84% dei presenti).

Se il dato nazionale è preoccupante nel nostro Corso di Studio di Pescara le cose sono andate ancora peggio perché a fronte di 100 iscritti al test (l’83 rispetto al 2017) si sono presentati in 88 (il 91% degli iscritti), ma gli idonei sono risultati essere il 69% dei presenti: solo 61!   In pratica da noi mentre il calo delle iscrizioni è allineato al dato nazionale, risulta essere sorprendentemente più bassa la percentuale di coloro che hanno superato il test! Il fenomeno è stato talmente eclatante che se ne è occupata diffusamente anche la stampa.

Il Messaggero 21 settembre 2018

Per fortuna il nostro Dipartimento ha avuto l’intuizione di comprendere il fenomeno del calo delle immatricolazioni già qualche anno fa ed è corso ai ripari affiancando alla laurea quinquennale in Architettura il nuovo corso di laurea triennale in Design, che ha avuto un immediato successo in termini di iscrizioni e che assicura al Dipartimento la tenuta sotto il profilo del numero di nuove matricole.  Nell’anno di inaugurazione del Corso di Studi in Design abbiamo avuto addirittura 450 matricole, tanto che l’anno successivo siamo stati costretti a mettere il numero chiuso.   Quest’anno su 80 posti disponibili a Design sono state quasi 300 le domande.

Tornando al calo di studenti ad Architettura io seguo il fenomeno con grande attenzione, però non do un’interpretazione esclusivamente negativa, ma al contrario leggo il bicchiere mezzo pieno.  Ora il Corso di Studi ha un rapporto studenti/docenti ottimale, spazi adeguati, dotazioni infrastrutturali commisurate all’utenza, laboratori funzionali.  I programmi Erasmus e le convenzioni internazionali del Dipartimento consentono a tutti gli studenti interessati di poter svolgere significative esperienze di studio all’estero.  Insomma le condizioni ideali per poter svolgere al meglio le attività didattiche. Se mi ricordo come era la situazione quando studiavo io negli anni ottanta… aule sovraffollate, difficoltà a poter parlare con i professori, attrezzature sottodimensionate, laboratori inefficienti.

Adesso è importante saper trasformare questa criticità in potenzialità, qualificando l’offerta formativa, aggiornandola e specializzandola sulla base delle esigenze espresse dalla società contemporanea, che non richiede più consumo indiscriminato di suolo, ma al contrario salvaguardia e riqualificazione dei territori a rischio (sismico, idrogeologico, ambientale); difesa dei patrimoni paesaggistici, storici ed architettonici; rigenerazione urbana delle aree periferiche delle nostre città, se necessario demolendo e ricostruendo il patrimonio edilizio obsoleto in gran parte costruito negli anni del boom economico.

Alla crisi si risponde con la capacità di interpretare i fenomeni e di individuare soluzioni adeguate.

Questo è l’impegno del nostro Dipartimento!

14 Agosto 2018

E’ CROLLATO IL VIADOTTO MORANDI A GENOVA!

A dirlo mi sembra impossibile… stamattina il viadotto sul Polcevera, a Genova, è venuto giù.

E’ collassato uno dei tre piloni e si è portato dietro la campata sul torrente. Se fosse crollato uno degli altri due piloni, ad esempio quello centrale che sovrasta le case di via W. Fillak, o se il crollo fosse avvenuto in una mattina feriale qualsiasi, con il ponte intasato dalle automobili in coda in attesa di uscire dal casello autostradale, il bilancio delle vittime avrebbe potuto essere ancora più drammatico.

E’ una tragedia di proporzioni enormi. Prima di tutto lo è per le famiglie delle vittime, la cui conta in queste ore non è ancora terminata, e poi per l’intera comunità genovese, che non perde solo un’infrastruttura stradale, ma il simbolo di una stagione vissuta da protagonista, quella del boom economico degli anni ’60.

Il Morandi era un’immagine iconica per Genova. Un ponte bellissimo, in c.a., quasi unico nel suo genere, con quella struttura a cavalletti rovesciati con gli stralli di acciaio rivestiti di calcestruzzo precompresso. Una progettazione ardita, che sembrava aver modificato i paradigmi dell’ingegneria aprendo nuove frontiere nell’utilizzo del cemento armato.

In realtà il ponte si dimostrò ben presto drammaticamente fragile, e furono necessari continui lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria, lavori che erano in corso anche al momento del crollo. Probabilmente uno dei ponti più studiati, più monitorati e più manutenuti d’Italia: ma non è bastato.

Un ponte “malato”, si diceva a Genova, che ha bisogno di cure amorevoli costanti; e forse proprio questa sua immagine delicata, non solo dal punto di vista visivo, lo aveva fatto entrare nel cuore dei genovesi che lo avevano eletto come uno degli elementi identificativi della città.

Era un ponte autostradale, ma in realtà era utilizzato quotidianamente da tutti per muoversi da una parte all’altra della città.  Chi è nato a ponente come me lo attraversava anche un paio di volte al giorno. Gli amici e i parenti che ho sentito in queste ore mi parlano tutti dell’ultima volta che lo hanno percorso… alcuni poche ore prima del crollo. E’ curioso… ne parlano come di un caro amico improvvisamente scomparso di cui si ricordano gli ultimi istanti vissuti insieme.

Ora è il momento del silenzio e del cordoglio per le vittime.

Domani dobbiamo aspettarci un’alluvione di polemiche sui giornali, sulle TV e soprattutto sui social: pareri tecnici di ingegneri improvvisati, processi sommari a presunti colpevoli, speculazioni politiche di basso profilo, manifestazioni di intenti irrealizzabili, sproloqui su altri crolli imminenti, … Tutti vomiteremo le nostre convinzioni per esorcizzare le nostre paure. Domani sarà così.

Ma quando il fumo delle polemiche si sarà dissolto, ci renderemo conto che il crollo del Ponte sul Polcevera può rappresentare una svolta decisiva nelle politiche di sviluppo nazionali. Una presa di coscienza definitiva che il nostro patrimonio edilizio ed infrastrutturale, costruito in gran parte negli anni che vanno dal dopoguerra al boom economico, è obsoleto e va demolito e ricostruito. Ad incominciare dalle grandi opere d’arte infrastrutturali che vanno monitorate con le più moderne tecnologie sensoristiche, per finire con le periferie urbane, a cui il palliativo della rigenerazione urbana low cost degli spazi pubblici effettuata per lo più con fondi europei – pur apprezzabile – non basta più.  Bisogna demolire e ricostruire le case per renderle più sicure e performanti! E quindi bisogna organizzare di conseguenza le agende politiche ed economiche. Sarà complicatissimo, ma è improrogabile!

Per Genova il crollo del Ponte sul Polcevera può avere conseguenze ancora più importanti. Innanzitutto perché l’immagine della Val Polcevera con la campata monca rimarrà lì ancora per chissà quanto tempo, a ricordarci il dolore di questi giorni; una sorta di ground zero genovese.

Poi perché la frattura di un ramo così importante della rete viaria, separerà la città in due per anni, con ripercussioni gravi sul traffico e quindi sul sistema economico cittadino. Ricordiamoci che il ponte oltre ad essere un’infrastruttura essenziale del sistema autostradale tirrenico verso la Francia, era il principale connettore a livello urbano del ponente cittadino e costituiva un collegamento primario del porto e dell’aeroporto con la rete viabilistica nazionale.

Non sarà  un risveglio facile domani. Non sarà facile rialzarsi… ma la mia Genova ancora una volta ce la farà!

Rete8 - TG 17.08.18
Rete8 - TG 17 agosto 2018
Il Centro 17 agosto 2018
SOPRA - Immagini storiche che in queste ore stanno facendo il giro della rete: la copertina della Domenica del Corriere del 1 marzo 1964 che, celebra l'imminente apertura del Viadotto Morandi, e una cartolina di Genova della prima metà degli anni '70 con il ponte di Rivarolo e la strada sopraelevata, simboli di una Genova proiettata nel futuro con le sue infrastrutture all'avanguardia. SOTTO - In questi momenti tristi, mi viene naturale ricordare la mia città con due canzoni, tra le mille che si potevano scegliere. La prima è una vera e propria poesia in musica in lingua genovese di Faber, conosciutissima; la seconda è una delicatissima versione inglese, poco conosciuta, di un celeberrimo brano genovese. Entrambe emozionanti.
18 Luglio 2018

STUDENTI Ud’A: I MIGLIORI TESTIMONIAL DELLA NOSTRA UNIVERSITA’

In queste settimane, in cui si fa un gran parlare delle strategie comunicative della nostra Università, sono arrivate al nostro Dipartimento di Architettura due bellissime notizie che voglio condividere con tutti voi (con una punta di orgoglio che spero mi perdoniate): un nostro studente, Paride Stella,  e una nostra neolaureata, Maura Mantelli, hanno vinto due prestigiosi riconoscimenti a livello internazionale.

Paride è  risultato unico vincitore europeo dell’edizione 2018 del concorso Extreme Redesign Challenge Awards, categoria “Arte, architettura, gioielli e design” con il suo gioiello ispirato alla forme del corallo realizzato attraverso l’utilizzo di metodologie di progettazione parametrica.  Maura invece è risultata vincitrice del concorso internazionale di progettazione  per giovani architetti e ingegneri under 40 promosso dall’UNESCO – Section Landscape, Culturale heritage and territorial governance – partecipando con la sua tesi di laurea che ha come oggetto la Costa dei Trabocchi (CH) e, in particolare, le opere aggiuntive da predisporre per far diventare il progetto di pista ciclabile, attualmente in cantiere, una vera e propria “rete slow”, competitiva a livello europeo e generatrice di nuove economie territoriali.

Complimenti quindi a Maura e Paride! E grazie di cuore a tutti i nostri studenti e giovani ricercatori che, grazie al loro impegno e alle loro capacità, certamente a breve raccoglieranno altri meritati riconoscimenti in campo internazionale.

Siete i migliori testimonial della nostra Università!

 

 

ll Centro 19.07.18
Il Messaggero 19.07.18
Chieti Today 05.07.18
22 Giugno 2018

“LE CITTA’ COME I SOGNI SONO FATTE DI DESIDERI E DI PAURE” … La Strada Parking di Pescara

La vicenda trentennale

Trent’anni fa la dismissione della vecchia linea ferroviaria che tagliava in due la città donò a Pescara un’opportunità meravigliosa: disporre del vecchio tracciato ferroviario per un utilizzo pubblico. La nuova strada che si venne a realizzare fu denominata “Via Castellamare Adriatico”, ma tutti la ribattezzarono “Strada Parco” per la rigogliosa presenza di piante ed alberi ai suoi lati, ma soprattutto per il ruolo identificativo che venne fin da subito ad assumere, diventando meta privilegiata di pedoni, ciclisti, anziani e bambini.  Come in una metamorfosi ovidiana la linea che divideva si stava trasformando nell’asse che unificava.

La vicenda si cominciò a complicare, quando nei primi anni novanta le amministrazioni comunali di Silvi, Città S. Angelo, Pescara e Francavilla ottennero un finanziamento di circa 60 miliardi di lire per la realizzazione di un sistema metropolitano di filobus pubblici su sede protetta e la Strada Parco fu individuata come possibile tracciato. È in quel momento che iniziarono le prime manifestazioni di dissenso da parte dei cittadini che in breve tempo si organizzarono in comitati allo scopo di opporsi al progetto. Il conseguimento del finanziamento e le successive modifiche al progetto originario, determinate in parte da oggettive condizioni di irrealizzabilità e in parte dalle proteste dei cittadini, diedero luogo ad una successione di scelte amministrative che alla prova dei fatti si sono rilevate inefficaci se non addirittura contraddittorie, prova ne sia che dopo trent’anni la questione della Strada Parco è ancora aperta.

Sarebbe interessante sgomberare il campo dai pregiudizi e analizzare scientificamente i motivi che hanno trasformato l’acquisizione di un finanziamento pubblico da un fattore di merito ad un problema collettivo, generando un forte effetto NIMBY e determinando un impasse politico che da allora è divenuto una costante spina nel fianco delle amministrazioni pubbliche di ogni colore che si sono succedute in città.  E’ come se il complesso iter amministrativo per l’ottenimento del finanziamento avesse gradualmente allontanato le soluzioni ideali (da un punto di vista sociale), dalle soluzioni possibili (da un punto di vista tecnico-politico), facendo rientrare questo caso di studio tra gli esempi poco virtuosi di utilizzo di fondi pubblici.

Oggigiorno le questioni sul tappeto sono almeno due: l’utilizzo della strada parco nell’immediato ed il suo ruolo nel sistema urbano di mobilità sostenibile nel medio-lungo periodo.

Strada Parking?…

Come ogni anno con la stagione estiva gli amministratori pubblici pescaresi sono chiamati a dare una risposta su come soddisfare la bulimia di parcheggi per raggiungere gli stabilimenti balneari soprattutto da parte dei residenti nella cintura collinare metropolitana.  L’amletico dubbio è sempre lo stesso: utilizzare o meno la strada parco come parcheggio estivo a pagamento.  I proprietari degli stabilimenti balneari spingono verso questa soluzione; i comitati della strada parco e le associazioni ambientalistiche si oppongono. Siccome ambedue le fazioni rappresentano bacini elettorali consistenti, gli amministratori non sanno che pesci prendere. Ed è proprio questo il punto: avere chiare le idee sul modello di città che si vuole perseguire.

E’ evidente che non ci possano essere soluzioni ottimali in assoluto, ma che la bontà delle decisioni sia in relazione alle priorità che si vogliono assumere.  Si ha come obiettivo facilitare l’accessibilità dell’auto privata ai principali poli di attrazione economica della città? Allora va bene la “strada parking”!  Si vuole perseguire un’idea di città ecosostenibile basata su un sistema di “soft mobility”? Allora le auto sulla strada parco non sono accettabili!  In ambedue le opzioni però bisogna comprendere bene vantaggi e svantaggi, progettare soluzioni sistematiche adeguate (a breve e a lungo termine) e operare uno sforzo comunicativo che possa far comprendere le strategie adottate contribuendo a modificare le abitudini e i comportamenti dei cittadini.  Ma soprattutto bisogna pensarci in tempo e non considerare il problema solo in fase emergenziale (che anche quest’anno sarebbe arrivata l’estate penso si potesse prevedere…!).

… No grazie!

La mia posizione personale sull’argomento, è netta: ritengo un errore trasformare la strada parco in un parcheggio, seppur temporaneo, perché significa non aver compreso l’enorme fortuna che ci è capitata a seguito della defunzionalizzazione del vecchio tracciato ferroviario.  Pescara e Montesilvano  grazie a quella dismissione si sono trovate in mano – come fosse piovuto dal cielo – un corridoio ecologico potenziale di livello internazionale paragonabile ad altri esempi di greenway europee.  Se si hanno esigenze, comprensibilissime, di aumentare la dotazione di parcheggi estivi per facilitare un bacino di utenza che va ad alimentare le attività economiche balneari, si possono mettere in campo soluzioni alternative.  Mi pare che alcune proposte in tal senso ci siano state, ad esempio quella di organizzare un servizio di bus navetta (meglio sarebbe se fossero elettrici e di piccole dimensioni… ma per adesso accontentiamoci!) che percorrendo la strada parco in un’unica direzione di marcia da sud a nord formino un anello con il lungomare collegando le spiagge ai parcheggi scambiatori (in primo luogo la aree di risulta della stazione, ma io direi anche i parcheggi delle Naiadi, quello della Stella Maris e del cinema multisala di Montesilvano, e forse anche altri).  Ci si potrebbe addirittura spingere oltre e dire che si potrebbe pensare che il senso unico di percorrenza dell’anello dei bus navetta potrebbe invertirsi nell’arco della giornata in ragione dell’origine-destinazione dei flussi di traffico, per aumentare la velocità commerciale del servizio… ma non esageriamo.  In ogni caso ciò consentirebbe alla strada parco di poter mantenere il suo ruolo primario di corridoio verde per pedoni e ciclisti garantendo al tempo stesso la possibilità di un trasporto pubblico adeguato e compatibile con le caratteristiche del tracciato.

Desideri e paure

Vi invito a seguirmi in un ragionamento.  La risposta tradizionale alla richiesta di migliorare l’accessibilità ai centri urbani è sempre stata l’aumento dell’offerta di infrastrutture:  più strade, più parcheggi.  In questo modo le politiche urbanistiche italiane hanno governato il boom economico del dopoguerra dando inizio alla stagione delle grandi opere infrastrutturali e dei grandi piani di espansione delle città.  Oggigiorno però le condizioni sono radicalmente cambiate e l’equazione “più infrastrutture = meno traffico” non torna più!  Ci si è resi conto che superata una certa soglia nell’utilizzo dell’auto privata, la necessità di infrastrutture non aumenta più in modo lineare, ma in modo esponenziale e quindi la corsa al soddisfacimento della domanda può diventare una corsa surreale che vede continuamente spostarsi in avanti la linea del traguardo.  In pratica una maggiore disponibilità di infrastrutture e di parcheggi induce un maggior utilizzo dell’auto privata: il gatto che si morde la coda!

La maggiore sensibilità verso le tematiche ecologico ambientali, la grande sfida alle cause dei cambiamenti climatici, i costi (non solo in termini economici) dei sistemi di mobilità tradizionale, hanno reso necessario un cambio di paradigma nei trasporti e nelle modalità di accesso della maggior parte delle capitali occidentali.  A Copenhagen, Amsterdam, Strasburgo i sistemi alternativi pubblici e privati per il tragitto casa-lavoro sono di gran lunga più diffusi dell’utilizzo dell’auto privata.  A nessun abitante di NY verrebbe in mente di andare a Manhattan in auto!  A Londra si progettano grattacieli come lo Shard di Renzo Piano che attraggono decine di migliaia di persone al giorno, ma non prevedono posti auto.

E’ ovvio che ciò sia possibile perché in queste città vi è un servizio pubblico di trasporto performante e vi sono reti ciclopedonali integrate che possono effettivamente considerarsi concorrenziali all’utilizzo del mezzo di trasporto privato.  Ma l’esperienza ci dice che questi modelli (che sono culturali prima ancora che infrastrutturali) saranno molto probabilmente adottati anche da noi: è solo una questione di tempo e di ricambio generazionale.  Perché ciò sia possibile è necessario però che fin da ora i  sistemi di trasporto pubblico siano incentivati e al tempo stesso sia disincentivato l’utilizzo dell’auto privata.  I comportamenti virtuosi devono essere indotti da politiche virtuose capaci di attenuare le iniziali resistenze al cambiamento insite nella natura umana attraverso alternative valide, strategie convincenti e campagne comunicative efficaci.

Insomma… anche in questo caso siamo chiamati ad un salto culturale, non certo indolore, rispetto a dei comportamenti consolidati.   Ma come scriveva Calvino “le città come i sogni sono fatte di desideri e di paure, che noi possiamo affrontare avendo ben chiara la meta da raggiungere!  E qui – ahimè – ritorniamo al punto di partenza: quale idea di città vogliamo perseguire?

Nell'immagine di copertina: la "strada parking" in versione estiva. Qui sopra la strada parco come si presenta normalmente.
La strada parco in una insolita veste invernale con la neve.
Il Messaggero 30.06.18
www.primadanoi.it - 25.06.18
1 Giugno 2018

ARCHITETTURA E CUCINA: DUE ARTI, UN’UNICA PASSIONE!

Ieri con gli esami finali si è concluso il mio corso di urbanistica a.a. 2017-18.

E’ sempre un bel momento.  Si fa il punto della situazione sull’attività didattica svolta, si riflette su quello che si è imparato, si discute dei risultati raggiunti.  E’ un po’ come quando si fa una escursione impegnativa in montagna: si è concentrati sullo sforzo della salita, poi si arriva in vetta, si volge lo sguardo al cammino percorso e si rimane stupiti nel vedere quanta strada si è fatta!

Quest’anno, oltre al modulo di lezioni ex cathedra di Teorie e Tecniche dell’Urbanistica, abbiamo sperimentato anche un’attività esercitativa che ha simulato, attraverso 5 diversi workshop, le prove dell’esame di stato per l’esercizio della professione di architetto.  Un’esperimento interessante, soprattutto pensando che si é fatto con gli studenti del primo anno!

Dopo la proclamazione dei voti – come oramai da tradizione – abbiamo dato il via al momento clou della giornata, che ovviamente non é stata la mia “lectio magistralis” conclusiva, ma il concorso di cucina regionaleStudente ai fornelli”.   Avevo chiesto agli studenti di cimentarsi in qualcosa della propria località di origine, il piatto tipico che meglio li rappresentava, quello della telefonata alla mamma dal treno quando si torna a casa.

Quest’anno abbiamo avuto una special guest di eccezione: la giovane chef  Maria Chiara Guastadisegni, titolare del ristorante Tamo di Spoltore (PE), che voglio ringraziare per essersi prestata con simpatia e professionalità al ruolo di presidente di giuria.

Diverse le categorie premiate: torte salate, focacce, piatti forte, torte dolci, biscotti.  Uno il piatto vincitore assoluto: pezzetti di cavallo alla pignata salentina.

Che dire… ?  Architettura e Cucina… due arti, un’unica passione!

10 Maggio 2018

INDAGINE DELLA GUARDIA DI FINANZA SUI DOCENTI DI ARCHITETTURA E INGEGNERIA

Si è conclusa proprio in questi giorni l’indagine della Guardia di Finanza in tutto il territorio nazionale sugli incarichi extra istituzionali dei docenti delle Facoltà italiane di Architettura e Ingegneria.  Il Dipartimento di Architettura di Pescara ha avuto 11 docenti sottoposti ad accertamenti al termine dei quali non è stato contestato nessun illecito (solo un vizio procedurale per un docente).

Desidero pubblicamente ringraziare la Guardia di Finanza che ha svolto il suo compito con grande professionalità e circospezione. Gli accertamenti del rispetto delle regole sono alla base di una società civile e democratica, per cui ben vengano: le nostre porte saranno sempre aperte!

L’occasione mi induce nel contempo a manifestare la mia preoccupazione per il clima di diffidenza e denigrazione che in questi anni stiamo registrando nei confronti del mondo della scuola, dell’università e della cultura in generale. La figura del professore negli ultimi decenni ha perso progressivamente autorevolezza nella società italiana: prova ne siano i livelli stipendiali – tra i più bassi d’Europa – o gli episodi di bullismo e di aggressione fisica a danno dei professori che le cronache di questi giorni stanno portando alla luce.

Ed è per questo che, per quanto riguarda lo svolgimento di attività extraistituzionali da parte dei professori universitari, tengo a ribadire che non è solo un diritto dei docenti poterle svolgere – nelle forme sancite dalla legge – ma è anche un loro dovere scientifico!  Come possono insegnare materie così professionalizzanti come l’Architettura e l’Ingegneria, se non hanno la possibilità di sperimentarle sul campo?

Provate a pensare ad un’altra scienza, la medicina: sareste contenti se vostro figlio, studente di chirurgia, avesse dei docenti che non sono mai entrati in una sala operatoria?

Il Centro 09.05.18
3 Aprile 2018

METAMORFOSI URBANE: DALLA CITTA’ POST-INDUSTRIALE ALLA CITTA’ DIGITALE

Quando sono stato invitato a Sulmona a tenere una conferenza in occasione delle celebrazioni per il bimillenario della morte di Ovidio, confesso di aver titubato, non essendo io uno studioso di letteratura classica, tantomeno un’esperto di Publio Ovidio Nasone.  L’argomento però – “Le metamorfosi” – era talmente affascinante che non ho resistito.

Il tema della metamorfosi è stato certamente sublimato da Ovidio nei 15 libri del suo poema epico mitologico, ma è un tema universale che ha attraversato la storia della letteratura da quella classica greca e romana, (come non citare l’episodio della maga Circe che trasforma in porci i compagni di Ulisse nell’Odissea di Omero) fino ad arrivare ai grandi autori del 900: Kafka (Gregor Samsa che una mattina si sveglia scarafaggio), Roth (il prof. Kepesh che all’improvviso si ritrova trasformato in un enorme seno), Collodi (Pinocchio che da pezzo di legno diventa burattino per poi trasformarsi in asinello ed infine in bambino), etc.

Essendo io architetto urbanista, studioso di politiche territoriali, il tema ovidiano della metamorfosi non può che condurre il mio pensiero alle metamorfosi urbane, i processi di trasformazione della città intesa come un organismo vivente che si modifica nel tempo cambiando forma, contenuti, relazioni; a volte espandendosi, altre volte contraendosi; a volte in modo ordinato, altre volte in modo caotico; ma sempre reagendo a sollecitazione esterne che provengono dalla società coeva.

Di questo ho parlato l’altro giorno al Piccolo Teatro di Sulmona: un breve excursus dalla città post industriale alla città digitale, sempre tenendo vivo il filo del ragionamento sul parallelismo con il poema epico mitologico di Ovidio.

Devo dire che mi sono divertito!  Spero che anche il pubblico abbia trascorso una serata piacevole.

Irene d'Orazio presidentessa dell'Associazione ARES organizzatrice dell'evento
Il benvenuto del Sindaco di Sulmona A. Casini
Il prof. Giannantonio introduce la conferenza
Paolo Fusero conferenza sulle "Metamorfosi Urbane" - Piccolo Teatro di Sulmona
La locandina della conferenza
L'AltrOvidio_Conferenza Prof. Paolo Fusero

In diretta dalla conferenza del Prof. Paolo Fusero "Metamorfosi urbane. Dalla città postindustriale alla città digitale", sesto appuntamento della rassegna culturale #LAltrOvidio.

Pubblicato da Associazione ARES "Antonio Pelino" su Venerdì 2 febbraio 2018
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