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28 Settembre 2023

UNA LUNGA STORIA D’AMORE

Dal 1 novembre sarò di nuovo Direttore del Dipartimento di Architettura di Pescara.

I miei colleghi mi hanno chiesto di riprendere la guida del Dipartimento dopo una pausa di tre anni.

Ero già stato eletto Direttore per due mandati dal 2014 al 2020 e poi la legge Gelmini, non consentendo tre mandati consecutivi, mi aveva “rimandato a casa”, o meglio in aula a fare lezione.

Nel frattempo, ho continuato ad occuparmi di questioni varie di Ateneo, cercando di dare il mio contributo.  Poi è arrivato il momento del rinnovo della carica di Direttore del Dipartimento e nonostante non mi fossi candidato, i miei colleghi, in testa il Direttore uscente, con fare delicato ed elegante come quando si chiede la mano ad una fanciulla – mi hanno chiesto se fossi disponibile ad assumere per la terza volta il ruolo di Direttore.

Inutile dire che questa manifestazione di stima e di affetto mi ha emozionato prima ancora di gratificarmi… è una lunga storia d’amore.

Siamo sempre stati un gruppo molto unito, anche nei momenti più complicati in cui abbiamo portato in Ateneo posizioni minoritarie, forse per la nostra propensione alla progettualità, forse anche per una connaturata diffidenza che nutriamo verso il “pensiero unico”.

Ora c’è solo da lavorare tutti insieme mettendo in pratica alcuni principi che, peraltro, avevo indicato nel mio recente programma elettorale alla carica di Rettore:

  • l’orgoglio di appartenere alla nostra comunità accademica UdA,
  • l’importanza di valorizzare il contributo dei singoli facendolo convergere su obiettivi collettivi,
  • il benessere lavorativo personale all’interno della crescita complessiva del nostro Dipartimento.

Con i nostri studenti stringeremo un “gentlemen agreement” basato sul reciproco impegno, nel rispetto dei rispettivi ruoli, per qualificare ancora di più l’offerta formativa dei nostri quattro corsi di laurea.  Saremo al loro fianco nelle loro battaglie a cominciare dalle richieste di avere servizi e strutture adeguate a far diventare il Polo Pindaro un Campus universitario degno di questo nome.

Nei rapporti con l’Ateneo sono convinto che il Dipartimento di Architettura possa assumere un ruolo maggiormente incisivo sulle questioni di sua competenza.  In questi ultimi anni siamo stati tenuti ai margini dei processi decisionali, ad esempio, sulle politiche edilizie della nostra Università, dove invece avremmo potuto dare un contributo costruttivo, essendo argomenti sui quali possiamo vantare un know how scientifico consolidato.

Anche nei rapporti con le amministrazioni pubbliche possiamo esprimere un ruolo maggiormente fattivo: non dobbiamo essere identificati come uno strumento attraverso cui gli enti locali perseguono i loro obiettivi politici, ma possiamo, anzi, dobbiamo essere gli ideatori di visioni strategiche capaci di rilanciare la competitività dei nostri territori in sintonia con i nostri valori.  Le nostre competenze scientifiche devono essere messe al servizio degli enti territoriali (dai più grandi ai più piccoli), allo stesso tempo però non dobbiamo rinunciare al ruolo di stimolo culturale e se necessario anche di voce critica nei confronti dell’operato delle amministrazioni pubbliche.

Il nostro manifesto culturale è insito nelle tematiche di cui ci occupiamo. Per noi temi come il consumo di suolo, la rigenerazione urbana, l’eco-design, i valori storici, paesaggistici, ambientali, sociali, etc., non sono solo degli argomenti da dibattere nei convegni accademici, ma sono dei comportamenti virtuosi che abbiamo faticosamente acquisito dai nostri studi, e che sentiamo il dovere di diffondere nella società civile non certo per frenarne la crescita, ma al contrario per contribuire ad aumentarne la competitività in una logica di sviluppo sostenibile.

Insomma… c’è molto lavoro da fare!

Il prof. Paolo Fusero eletto per la terza volta Direttore del Dipartimento di Architettura dell'Università G. d'Annunzio
Il Messaggero 03.10.23
29 Maggio 2023

RASSEGNA CULINARIA “STUDENTE AI FORNELLI”: L’UNIVERSITA’ CHE CI PIACE!

E’ stata la giovane chef MARIA CHIARA GUASTADISEGNI a presiedere la giuria della rassegna culinaria: STUDENTE AI FORNELLI, organizzata nell’ambito del corso di Urbanistica dal Dipartimento di Architettura di Pescara.  Giovanissima, ma con un ricco curriculum internazionale alle spalle, insieme al compagno ANTONIO BLASI è titolare del ristorante TAMO a Spoltore, una delle novità più interessanti nel panorama italiano degli chef Under 40 Michelin.
Il compito di trovare un fil rouge tra i piatti cucinati dagli studenti, i loro progetti e le opere di letteratura è stato invece affidato a MARCO ALESSANDRINI, sindaco emerito di Pescara, ma soprattutto lettore compulsivo e fine critico letterario.  EMANUELA CORNELII ha arricchito la Giuria portando sua esperienza di responsabile della didattica dell’Associazione Italiana Sommellier.
Cucina, Letteratura, Architettura, Vino! Un connubio che riserva sorprese piacevolissime!
Questa è l’Università che ci piace!
La giovane chef Maria Chiara Guastadisegni e il logo dell'evento

I grembiuli premiati

Il piatto vincitore assoluto è stato il “Pancotto pugliese”, di Lucrezia Di Domenico e Antonio De Giuseppe.  Sono stati poi premiati nelle diverse sezioni: le “Pallotte cace e ove“, la “Sausicchij sott’ a nzogn“, i “Poporati“, “Pane e olio” e gli “Scagliozzi”.

21 Febbraio 2022

UNA RIFLESSIONE SUL PNRR A PARTIRE DALLA VICENDA EX COFA A PESCARA

Torno ad occuparmi di un argomento di politica universitaria locale (l’ampliamento della sede universitaria di Pescara nelle aree dell’ex mercato ortofrutticolo) per esporre la mia posizione e per fare una riflessione di carattere più generale sull’utilizzo dei fondi di finanziamento del PNRR. 

Nei giorni scorsi il CdA della mia Università (di cui faccio parte) ha posto in votazione la proposta di partecipare al bando dell’Agenzia della Coesione Territoriale per la realizzazione nell’area ex Cofa di Pescara di un edificio universitario denominato “EASSITECH (Ecosistema dell’Adriatico per la sostenibilità, salute, clima e innovazione tecnologica)”. I principali partner di questa iniziativa oltre all’Università G. d’Annunzio (soggetto proponente) sono: Regione Abruzzo, Comune di Pescara, Confindustria Chieti-Pescara, Camera di Commercio Chieti-Pescara, Fondazione Ud’A, Università Politecnica delle Marche.

Io già in diverse occasioni – ricordo, ad esempio, un convegno sull’argomento tenutosi nella scorsa primavera (vai al link) – ho manifestato la mia contrarietà ad investimenti edilizi della nostra Università su aree pescaresi che non siano quelle di proprietà pubblica attigue al Polo Pindaro, dove sorge l’attuale sede universitaria.

Mi riferisco all’ipotesi di qualche tempo fa, che era stata anche riportata dagli organi di informazione locale, di trasferire la sede universitaria pescarese (vai al link) o parte di essa proprio nell’area ex Cofa.  Allora mi opposi con fermezza a quell’ipotesi di trasferimento, totale o parziale, della sede universitaria pescarese in una localizzazione certamente prestigiosa, ma non adeguata alla nostre esigenze.

Ora la delibera assunta del CdA riguarda la stessa area – l’ex Cofa – però un oggetto diverso: non più il trasferimento dell’Università, ma (come si legge nella delibera) – “un contenitore polifunzionale dove vengono svolte attività di innovazione tecnologica, formazione, ricerca e iniziative culturali” … che di fatto è l’Università!”

La delibera assunta, per adesso, ci impegna anche alla copertura delle spese per la progettazione dell’intervento, stimate fino ad un massimo di 200.000 euro, che poi saranno affidate a soggetto esterno.   E’ chiaro però che a questi costi iniziali dovrebbero essere aggiunti quelli (non ancor preventivati, ma stimabili in qualche milione) per l’allestimento, gli arredi, le attrezzature, la manutenzione e la gestione nel tempo della struttura.

Più volte, anche in sede di Consiglio di Amministrazione UdA, ho contestato al Rettore prof. Caputi che l’errore più grande che possiamo fare dal punto di vista urbanistico è quello di andare dietro alle opportunità edilizie che si presentano di volta in volta – che prese singolarmente possono anche apparire molto allettanti (come questa) – senza avere una visione complessiva, un’idea di città universitaria che vogliamo perseguire.

Più volte ho sottolineato l’esigenza di portare in discussione, nelle sedi opportune, una visione d’insieme di un Piano di ampliamento e rigenerazione del Campus di Chieti e del Polo di Pescara, (chiamatelo “Masterplan”, chiamatelo “Progetto strategico”, chiamatelo come volete) e poi una volta condiviso il progetto complessivo di sviluppo, programmare un’attuazione per stralci funzionali ogni qualvolta il nostro bilancio ce lo consente o ogni qualvolta si presentano risorse straordinarie, senza più farci distrarre dalle sirene di proposte che non rientrano in questo disegno strategico.

La mia idea – lo ricordo per l’ennesima volta – è che l’ampliamento della nostra Università a Pescara debba concentrarsi sulle aree di proprietà pubblica attigue al Polo Pindaro esistente, senza disperdere energie economiche e intellettive, su altre aree defunzionalizzate che ci sono in città o nell’area metropolitana e che ci vengono generosamente proposte dagli amministratori locali.  Le aree sul retro della nostra Università (quelle a fianco del Tribunale verso via Falcone Borsellino, per intenderci) sono di nostra proprietà: sono state oggetto di una permuta con l’edificio ex Aurum proprio allo scopo di realizzare l’ampliamento del Polo universitario pescarese.  Sempre allo stesso scopo in questi anni l’Università ha deviato il fosso Bardet che tagliava in due quelle aree e ha addirittura commissionato (e pagato) il progetto di ampliamento del “Nuovo Pindaro” ad uno degli studi di architettura più importanti d’Italia.  Per cui mi si deve spiegare la ragione per cui in questi ultimi anni invece di utilizzare quelle aree di “naturale espansione” le abbiamo lasciate in abbandono e siamo andati cercando altre aree su cui ampliarci in giro per la città.

Sarebbe un errore procedere all’ampliamento del Polo universitario in aree diverse da quelle attigue, anche perché ci troveremmo con gli edifici universitari posti in siti satellite distanti qualche chilometro l’uno dagli altri.  La natura dei flussi di utenza delle attività universitarie impone la concentrazione dei servizi e degli spazi per la didattica e la ricerca.  La biblioteca deve essere il cuore pulsante (anche simbolico) della vita universitaria; le aule, i laboratori, i centri di ricerca, gli edifici di servizio per gli studenti (mensa, foresteria, studentato) e quelli a servizio delle attività di III missione (incubatori d’impresa, spazi per startup) devono essere tra loro facilmente raggiungibili perché i fruitori sono gli stessi studenti, docenti e tecnici amministrativi che si muovono quotidianamente da un edificio all’altro del campus a seconda dell’attività che devono svolgere. Le aree pedonali, le piazze, il verde, gli esercizi commerciali, le piste ciclabili, formano la rete connettiva di fruizione pubblica che garantisce la vita del complesso organismo universitario mettendolo in osmosi con il tessuto urbano circostante.  Questo è un Campus urbano!

Per capirci – quindi – se la proposta di un nuovo Centro di eccellenza a servizio delle attività universitarie pescaresi avesse potuto riguardare, anziché le aree ex Cofa, quelle aree in disuso di nostra proprietà sul retro del Polo Pindaro di cui ho detto, oppure la Caserma dei Vigili del Fuoco o la caserma Cocco, attigue alla nostra sede universitaria, io avrei plaudito all’operazione, purtroppo invece così non è, data la natura e i vincoli imposti dal bando stesso.

Ampliando l’Università sulle aree di proprietà sul retro del Polo esistente, e coinvolgendo nel processo di rigenerazione la caserma dei VV.FF. e la ex Caserma Cocco (sedi ideali per servizi agli studenti e neo laureati), si trasformerebbe il Polo Pindaro in un vero e proprio Campus urbano; una cittadella universitaria aperta alla città con casa dello studente, foresteria, mensa, spazi di coworking per start up, etc. Tutta la zona di Porta Nuova ne avrebbe un evidente beneficio.

L’ex Cofa, dal canto suo, ha un potenziale enorme, probabilmente è la più pregiata tra le aree defunzionalizzate pescaresi, è comprensibile che gli enti locali chiedano all’Università di farsi promotrice del suo processo di trasformazione.  Meno comprensibile è l’atteggiamento dell’Università che si lascia “tirare per la giacchetta” senza aver ancora messo a fuoco un suo disegno strategico di ampliamento delle strutture universitarie.  Senza parlare del fatto che un’area di waterfront così strategica come l’ex Cofa, cerniera tra la città, il lungofiume e il porto turistico, ha una vocazione evidente per un utilizzo aperto al pubblico.  E l’Università, per sua natura, non può garantire questo tipo di uso pubblico “aperto” alla cittadinanza: le aule universitarie, i suoi uffici, i suoi laboratori dotati di costose attrezzature, non possono essere di libero accesso.  Tuttalpiù si possono lasciare aperti alcuni percorsi di attraversamento tra le strutture.  E questo non è esattamente quello che ci si aspetta da un’operazione strategica di waterfront che vuole invece spazi pubblici e attrezzature collettive di libera fruizione, magari di riferimento territoriale, come si vedono in tutti gli waterfront del mondo.

Morale della favola: la delibera del CdA è stata comunque assunta. Io, per le ragioni esposte, ho votato contro. Non è da escludere che il progetto possa essere finanziato dal Ministero… vedremo.

Cosa ci insegna questa vicenda?

Che la logica di aggiudicazione del finanziamento straordinario (fondi europei, PNRR, fondi ministeriali, etc.) vince sulla logica di individuazione delle esigenze collettive.

Le opere pubbliche oramai si realizzano non tanto in ragione di uno studio complessivo dei fabbisogni, delle prospettive e delle sinergie che possono determinare, ma in ragione delle occasioni “random” che derivano dai bandi competitivi di finanziamento.  Può succedere che un’opera pubblica venga promossa sui tavoli decisionali non perché risponde ad una richiesta specifica della collettività, ma perché risponde alle caratteristiche tecniche (in termini di punteggi da attribuire) richieste dal bando di gara.

Quante volte è successo che un progetto europeo si sia trasformato da un fattore di merito ad un problema collettivo? Quante volte la rendicontazione del progetto europeo è diventato il vero obiettivo su cui si sono focalizzati tutti gli sforzi degli enti locali, indipendentemente dall’utilità pubblica di ciò che si sta realizzando? A volte addirittura questo disallineamento tra obiettivi politico-amministrativi (ottenere il finanziamento e rendicontarlo) e obiettivi sociali (ottenere interventi che soddisfino le esigenze reali espresse dalla comunità) porta all’insorgere di fenomeni di rifiuto da parte della popolazione residente (effetto NIMBY).

Attenzione perché se questo ragionamento fosse corretto, a livello nazionale noi ci potremmo ritrovare tra qualche anno ad essere riusciti a realizzare tutti i progetti del PNRR, per poi accorgerci che molte delle opere costruite non sono prioritarie rispetto ai fabbisogni collettivi.

E allora forse sarebbe meglio lasciarci sfuggire qualche “occasione imperdibile” di finanziamento straordinario, concentrandoci solo su quegli interventi che effettivamente rientrano nella visione strategica di città (universitaria) che vogliamo perseguire.

C’è materia su cui riflettere…

Il Messaggero 2 marzo 2022
20 Aprile 2021

IL DIFFICILE RUOLO DI CITTA’ UNIVERSITARIA

Si fa presto a riempirsi la bocca col termine “Città universitaria”, ma Pescara e la sua Università sono davvero fatte una per l’altra?

L’ultima volta che sono intervenuto in sede pubblica sul tema dell’edilizia universitaria pescarese è stato poco più di un anno fa e l’ho fatto attraverso il mio blog con un articolo sull’ipotesi di trasferire la sede universitaria pescarese (vai al link), o parte di essa, nell’area dell’ex Cofa, il Consorzio Ortofrutticolo.

Nel post manifestavo tutte le mie perplessità su questa ipotesi, cercando comunque di mantenere un atteggiamento equidistante, tra le due fazioni cittadine che si erano venute nel frattempo a creare: coloro che si erano “messi in testa un’idea meravigliosa” di avere una nuova sede universitaria in riva al mare e coloro che invece si mostravano freddi se non addirittura contrari a quell’ipotesi.  Allora feci un ragionamento piuttosto complesso – una sorta di Swot Analisi – e descrissi i diversi scenari che si sarebbero potuti verificare, mettendo in evidenza i punti di forza e di debolezza, le opportunità e le minacce, di ognuna delle ipotesi in campo.  A conclusione di quel ragionamento, la mia posizione fu chiara: io ero contrario al trasferimento dell’Università all’ex Cofa!

Le ragioni che mi portavano a quella convinzione erano diverse:

  • prima di tutto perché si sarebbe spaccata in due la comunità accademica pescarese, perché gli spazi a disposizione non erano sufficienti per trasferire tutti i corsi di laurea, per cui alcuni Dipartimenti sarebbero dovuti rimanere in Viale Pindaro;
  • poi la viabilità inadeguata a sopportare un ulteriore carico insediativo;
  • l’assenza del collegamento diretto con la ferrovia;
  • la complessità politico-amministrativa dell’area che poteva rappresentare un rischio di impresa per l’Università (per es. l’iter approvativo non solo del progetto, ma anche delle necessarie opere infrastrutturali aggiuntive sarebbe dipeso non da noi ma da altre amministrazioni);
  • senza contare naturalmente che – guardando la questione dal punto di vista della città – era evidente che: 1) andando via l’Università da viale Pindaro tutta l’area di Porta Nuova ne avrebbe risentito negativamente; 2) l’obiettivo di consentire il pubblico accesso a quelle aree così strategiche per la città, non poteva essere garantito dall’Università, che per sua natura non può consentire la libera circolazione nelle sue aule, nei suoi costosi laboratori, nei suoi uffici. Tuttalpiù si possono lasciare aperti al pubblico alcuni percorsi di attraversamento tra le strutture.

Quello che però emergeva con evidenza da quel dibattito di un anno fa, era la completa mancanza di un’idea strategica del ruolo che l’Università avrebbe dovuto assumere all’interno della città: non c’era un’idea di città universitaria. Gli amministratori locali ci stavano offrendo le loro aree pregiate defunzionalizzate – passatemi l’immagine – così come un mercante arabo offre la propria mercanzia ad un compratore straniero in un bazar del Cairo.   Il Sindaco di Pescara ci accompagnava a visitare l’ex Cofa; quello di Montesilvano la Colonia Stella Maris.  Altri enti pubblici ci offrivano la Caserma dei VV.FF. o l’ex Caserma Cocco.  Stessa cosa facevano i privati, come i proprietari dell’area ex Di Bartolomeo, prospicienti la sede universitaria.  Iniziò una sorta di “tiro alla giacchetta” dell’Università bancomat che sinceramente mi diede fastidio, ma che soprattutto, con la pianificazione urbanistica aveva poco a che fare.  Ma quel che è peggio è che noi stessi, l’Università G. d’Annunzio, non avevamo – e purtroppo non abbiamo tutt’ora – le idee chiare in merito ad un disegno strategico che possa soddisfare le nostre necessità di ampliamento a Pescara.

Io mi prendo naturalmente tutte le responsabilità che mi competono.

Sono Urbanista, per professione e per ruolo accademico, ho svolto i due mandati istituzionali da Direttore del Dipartimento di Architettura di Pescara, ciononostante non sono stato in grado di far capire neppure ai vertici della mia Università che l’errore più grande in questi casi è di andare dietro alle opportunità che si presentano di volta in volta – che prese singolarmente possono anche apparire allettanti – senza una visione complessiva di quello che si vuole ottenere.  In altre parole, alla base della discussione non c’era un’idea strategica di sviluppo dell’Università G. d’Annunzio dentro la città, ma un patchwork di proposte scollegate tra loro, senza né capo né coda.

E la città di Pescara, purtroppo, da questa punto di vista è recidiva: mi riferisco per esempio al pot-pourri di idee sulle Aree di risulta ferroviarie, alle scelte schizofreniche sulla Strada Parco (da alcuni ritenuta un prezioso corridoio ecologico, da altri indicata come parcheggio estivo), fino ad arrivare alla scelta delle aree dove espandere l’Università.

A questo punto direi che è utile fermarsi un attimo e ricordare a tutti quanti come siamo arrivati a questo punto.

È da vent’anni che il nostro Ateneo manifesta l’esigenza di espandere la sua sede pescarese, sia per mancanza di spazi e di dotazioni, sia per l’obsolescenza delle strutture.

La prima ipotesi è del 1998 (Rettore Cuccurullo, DG Napoleone) a seguito della quale vi fu l’adesione al PRUSST “Città lineare della costa”, successivamente ammesso a finanziamento dal Ministero dei LL.PP.

Poi nel 2001 ci fu l’Accordo di Programma, tra Comune Provincia e Università, per la realizzazione del cosiddetto Nuovo Pindaro, nell’area sul retro della sede attuale, che nel frattempo era stata acquisita dall’Università in permuta con il complesso “ex AURUM”.  Il progetto “Nuovo Pindaro” prevedeva aule, laboratori, uffici, biblioteca, oltre a piazze coperte e scoperte e spazi verdi.

Con il cambio di governance di Ateneo nel 2012 (Rettore Di Ilio, DG Del Vecchio) cambiarono anche le prospettive di ampliamento della sede pescarese.  Il progetto Nuovo Pindaro venne congelato e ridimensionato, stralciando le aule e mantenendo solo l’edificio della Biblioteca.

Alla governance attuale insediatasi nel 2017 (Rettore Caputi, DG Cucullo) va il merito di aver investito risorse per l’adeguamento tecnologico del vecchio Polo Pindaro e di avere riproposto il tema dell’ampliamento della sede di Pescara, anche se come dicevo prima, senza avere le idee chiare sul da farsi.

A Caputi voglio dire, con la franchezza che contraddistingue il nostro rapporto di amicizia, che la scelta migliore a questo punto è una sola: portare a compimento il progetto del cosiddetto “Nuovo Pindaro” nelle aree a fianco del Palazzo Micara!  È l’ampliamento “naturale” essendo le aree attaccate a quelle del vecchio Polo Pindaro.  Per altro sono aree di proprietà dell’Università, acquisite all’interno dell’Accordo di Programma del 2001 specificatamente per questa funzione, per cui se non si dovesse dar seguito al progetto previsto dall’Accordo di Programma, si dovrebbero addurre convincenti giustificazioni! Per altro, per preparare le aree all’edificazione si sono già spese diverse centinaia di migliaia di euro per deviare Fosso Bardet, il canale che attraversava l’area, e si è pagata (correttamente) circa un milione di euro la parcella dei professionisti che hanno redatto il progetto esecutivo della nuova Biblioteca e del nuovo Pindaro.  Ma soprattutto continuare con il progetto Nuovo Pindaro significa portare a compimento il masterplan seguendo un disegno strategico, che se venisse interrotto lascerebbe le strutture universitarie “monche”.

OVVIAMENTE il progetto Nuovo Pindaro va aggiornato in considerazione delle nuove esigenze che nel frattempo si sono venute a determinare (laboratori specialistici, performance ecologico-ambientali, etc.). OVVIAMENTE il progetto va integrato con i nuovi assetti del tessuto urbano entro il quale è inserito. OVVIAMENTE vanno fatte le dovute verifiche di fattibilità, a cominciare da quelle economiche sulla capienza del nostro bilancio di Ateneo.   Ma è essenziale a questo punto tirare una linea, assumere una vision complessiva, condividerla con gli Organi di Ateneo e con i Dipartimenti pescaresi, e cominciare a programmare un’attuazione per stralci funzionali, ogni qualvolta il nostro bilancio ce lo consentirà, avendo chiaro il disegno da perseguire, senza più farci distrarre dalle sirene di qualche altra ipotesi immobiliare – pur allettante – che ci venga proposta da chicchessia.

Il Polo Pindaro, sede pescarese dell'Università G. d'Annunzio, e l'area ex Cofa sul retro del porto turistico.
Progetto "Nuovo Pindaro" completo
Progetto "Nuovo Pindaro: la Biblioteca

Ora un cenno ad un paio di altre “aree calde” che si trovano in prossimità del Polo Pindaro di cui si sono occupati gli organi di informazione locali sempre in prospettiva dell’ampliamento delle strutture universitarie.

La prima è quella costituita dalle due caserme prospicienti tra loro, non distanti dall’Università: quella dei VV.FF. e la ex caserma Cocco con annesso parco pubblico.  Sono due aree molto interessanti di proprietà del Demanio dello Stato e del Ministero della Difesa, che potrebbero essere inserite in un ragionamento complessivo di “cittadella universitaria aperta”, così come d’altronde aveva fatto Stefano Civitarese, quando era assessore del Comune di Pescara, con il suo Master Plan “Polo della cultura e della conoscenza”, ispirato per altro, ad un imponente lavoro di ricerca condotto dal Dipartimento di Architettura e raccolto nel libro “Verso Pescara 2027”.

A mio avviso però, l’interesse di poter intervenire su queste aree con un accordo tra amministrazioni pubbliche (quindi con un iter facilitato ex L. 241/90), non sarebbe tanto quello di soddisfare la necessità di nuove aule: sarebbe contraddittorio –  come detto – rispetto alla scelta che abbiamo già assunto di realizzare la nuova Biblioteca sul retro di palazzo Micara.  Le due caserme invece potrebbero essere ottimi contenitori di attività complementari a servizio della didattica e della ricerca universitaria: si potrebbe pensare, ad esempio, ad una casa dello studente (pubblica) con foresteria nell’area della Caserma VV.FF. e a un incubatore di impresa per start up e spin off nell’area ex Cocco in partnership con la Regione, le associazioni di categoria e altri investitori privati. O anche altre funzioni legate ad es. alla terza missione universitaria.

A proposito di case dello studente (pubbliche o private), chiudo il ragionamento con un commento al progetto apparso di recente sui giornali che interessa le aree ex Di Bartolomeo. Si tratta di aree private, adiacenti al Polo universitario, ma sempre aree private sui cui i proprietari vantano legittimi diritti edificatori, per cui i nostri margini di manovra sono esigui, se non nulli.  Ma siccome sono aree su cui in questi anni si è concentrata una moltitudine di progetti elaborati dal Dipartimento di Architettura e dal Dipartimento di Ingegneria (esercitazioni, tesi di laurea, addirittura una Summer School), credo sia doveroso esprimere la nostra opinione.

Dico subito che non condivido l’impostazione progettuale assunta.

E non è un giudizio sulla qualità architettonica del progetto, firmato da un collega che non conosco, ma che ha tutto il mio rispetto. Io discuto a monte – le precondizioni tecniche e funzionali che sono state poste alla base di quel progetto. Gli infiniti esercizi progettuali che abbiamo fatto fare ai nostri studenti in questi anni, pur presentando una gamma di soluzioni molto diversificata, avevano tutte un filo conduttore, un assioma: creare un sistema di relazioni pedonali, ciclabili, di spazi pubblici, di verde… tra il Polo universitario e il mare passando attraverso le aree Di Bartolomeo, la zona stadio e la Pineta Dannunziana.

Il progetto che vedo pubblicato sui giornali locali (queste al momento sono le mie fonti di informazione) attraverso cosa attua questo importante compito di connessione tra Università, Stadio, Pineta e mare?  Attraverso il parcheggio di un supermercato! E il verde? E la connessione pedonale e ciclabile? E gli spazi di aggregazione? Le piazze?

Certo… se si deve raggiungere la cubatura prevista dalle norme del PRG (che non ho controllato, ma immagino siano state verificate dagli uffici competenti del comune di Pescara), una volta che si mette dentro l’area un supermercato, i parcheggi di legge, la palazzina residenziale, gli accessi carrabili… spazio per altre dotazioni non ne rimane tanto.  E allora il verde e gli spazi pubblici dove si mettono? Nelle aree di scarto! Ossia nei ritagli residuali della viabilità, nelle aiuole, nelle fioriere del parcheggio…

Non entro quindi nel merito del progetto architettonico, discuto – e punto il dito accusatorio – sul paradigma progettuale alla base del progetto, che è il vecchio modo di fare che abbiamo utilizzato per cinquant’anni a partire dal boom economico del secolo scorso, quando le pressioni della rendita immobiliare portavano a realizzare prima i “palazzi” e poi, nelle aree di scarto che rimanevano, si mettevano i famosi 18 metri quadri ad abitante di verde, necessari per vedersi approvare il progetto dagli uffici comunali.  Che è esattamente l’opposto di quello che la buona pianificazione urbanistica suggerisce oggi: prima si progetta la spina dorsale degli spazi di relazione, del verde, della mobilità sostenibile (l’interesse pubblico) e poi, di conseguenza, si progettano gli edifici (l’interesse privato).

È come sempre una “questione di priorità” o se vogliamo di “idea di città”.

Il Polo Pindaro e le aree strategiche che lo circondano.
Planimetria del progetto sulle aree private Di Bartolomeo, prospicienti la sede universitaria di Pescara. Il progetto prevede un supermercato e una palazzina ad uso residenze private per studenti.
Immagine tratta dai media del progetto sulle aree private Di Bartolomeo, prospicienti la sede universitaria di Pescara.
Locandina della giornata di studio sull'ampliamento del Polo Universitario di Pescara
26 Gennaio 2018

AREE DI RISULTA DI PESCARA 30 ANNI DOPO

Tempo fa, con lo spirito di amicizia che ci lega, feci una scommessa con il Sindaco di Pescara Marco Alessandrini che sarei oggi ben felice di onorare.   L’oggetto della “sfida” era la trasformazione delle aree di risulta all’interno del suo mandato elettorale; eravamo circa a metà ed io giudicavo i tempi non idonei (vedi precedente post sulle aree di risulta). Il Dipartimento di Architettura aveva appena consegnato il voluminoso dossier di ricerca “Verso Pescara 2027”, frutto della convenzione con il Comune, dove avevamo costruito una visione strategica della città basata sulla trasformazione di una decina di aree, tra cui quelle di risulta. Io sconsigliai al Sindaco di partire proprio da lì, per la complessità delle vicende politiche che le hanno riguardate e per il periodo di recessione economica, che rendeva complicata la possibilità di attrarre investimenti adeguati.  “Bisogna avere il coraggio di aspettare tempi migliori” – dicevo – “oggi non mi pare ci siano le condizioni e il rischio è di giocare al ribasso”.

Le aree di risulta sono infatti vocate a contenere funzioni ad uso pubblico di scala metropolitana, capaci di attrarre flussi di fruizione adeguati a garantire la piena vivibilità della zona che, non dimentichiamolo, come tutte le aree prospicienti le stazioni ferroviarie, è particolarmente delicata sotto il profilo sociale e della sicurezza. Si rendono quindi necessari investimenti e investitori non ordinari, che in un momento di recessione non sono facili da reperire. Il Sindaco non seguì il mio consiglio, ma io ne ammirai comunque la tenacia nel voler affrontare di petto un tema così complesso, che se ben condotto poteva effettivamente cambiare il volto del centro cittadino.

Oggi a distanza di un paio di anni dalla scommessa, Il Messaggero mi chiede una riflessione sui tempi di realizzazione dell’opera ed io non posso che apprezzare che il progetto abbia fatto dei passi avanti, anche per merito del nuovo assessore Civitarese: ha superato la fase delle valutazioni ambientali, ha messo a punto l’assetto economico finanziario ed è pronto ad approdare in Consiglio per la variante urbanistica. Purtroppo però devo anche rilevare che il momento per la discussione consiliare non è dei migliori: stiamo entrando nel vivo della campagna per le elezioni politiche 2018, che probabilmente rimescoleranno le carte degli assetti politici nazionali e certamente non favoriranno la pacatezza delle posizioni su questo tema. Non dimentichiamo poi che siamo a circa un anno dalla scadenza naturale del mandato del Sindaco: c’è il rischio di non riuscire a trovare le convergenze politiche capaci di portare in approvazione lo studio di fattibilità, o (forse ancora peggio) di riuscire faticosamente a strappare al consiglio comunale un’approvazione che consentirebbe di avviare le procedure di appalto per poi doverle fermare nuovamente se dovesse esserci un cambio politico alle elezioni amministrative della prossima primavera.

Io spero ancora di perdere la scommessa e di pagare felicemente pegno assistendo in prima fila alla cerimonia del taglio del nastro, ma se così non fosse, mi domando: dopo trent’anni di infinite polemiche sul futuro delle aree di risulta perché non chiedere a tutte le forze politiche un “armistizio”, magari sancito nei programmi elettorali delle prossime amministrative 2019, in cui ognuna si impegna a dare una mano per favorire il raggiungimento di un risultato condiviso?  Basterebbe trovarsi d’accordo su una “road map” attuativa che chiarisca gli obiettivi comuni e le metodologie partecipative per poterli raggiungere. Senza buttar via quanto è stato fatto, ma lasciando aperta la possibilità di miglioramento dello scenario progettale complessivo, magari anche prevedendo fasi attuative differenziate. Avremmo un intero mandato elettorale davanti e probabilmente anche un periodo economico più favorevole di quello appena trascorso che consentirebbe tra l’altro di alzare l’asticella delle prestazioni da richiedere al progetto di trasformazione più importante della nostra città, sul quale Pescara – è bene ricordarlo – si gioca una buona fetta del suo futuro.

Il Messagero 27.01.18 (articolo di Paolo Mastri)
Il Messaggero 28.01.18
Il Centro 04.02.18
Il Messaggero 06.10.18
Il Messaggero 05.10.18
3 Ottobre 2017

PERPLESSITA’ SUL NUOVO STADIO DI PESCARA

È di attualità la discussione sull’area scelta dal Comune di Pescara per localizzare il nuovo stadio di calcio. Noi non siamo contrari alla sua realizzazione, anzi ci sembra un’ottima occasione, in una logica di strategie di sviluppo di area metropolitana

16 Marzo 2017

L’ASSE ATTREZZATO DI PESCARA COME LA SOPRAELEVATA DI GENOVA

Il Messaggero mi ha chiesto un commento sull’ingresso a Pescara dall’asse attrezzato e sul nuovo skyline …

13 Gennaio 2017

TOYO ITO IN FACOLTÀ

Che bello quando ti chiamano e ti dicono: “Professore è in ufficio? C’è Toyo Ito che vorrebbe venire in Facoltà…”

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