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28 Giugno 2025

PROBLEMI E PROSPETTIVE DELL’UNIVERSITA’

Il 27 giugno a Napoli si è tenuta la Conferenza Universitaria Italiana di Architettura (CUIA) dove si riuniscono tutti i Direttori dei Dipartimenti di Architettura, Urbanistica e Design d’Italia per analizzare problemi e prospettive dell’Università italiana dal punto di vista delle discipline del progetto. Nel corso dell’evento è stato presentato il White Paper che contiene la posizione della CUIA  riferita alle prospettive delle tre missioni universitarie: didattica, ricerca e terza missione.  A me è stato affidato il compito di occuparmi di ricerca in questo particolare momento in cui le Università italiane si trovano tra l’incudine della riduzione dei finanziamenti pubblici e il martello di sistemi di valutazione sempre più farraginosi.

Di seguito il contenuto testuale del mio contributo.

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L’illustrazione dei contenuti del White Paper elaborato dalla CUIA e oggi messo a disposizione della comunità scientifica nazionale, inizia con il mio intervento. A me in particolare è stato affidato il compito riflettere sul tema della RICERCA.

Mi fa piacere incominciare questa mia relazione citando l’incipit del recente libro di Tomaso Montanari “Libera Università” edito da Einaudi: “Il momento non è qualunque“. Ed in effetti questo non è un momento qualunque, ma è un tempo che potremmo definire di crisi permanente – climatica, sociale, geopolitica, democratica –  in cui, inaspettatamente, l’Università è tornata al centro del dibattito politico mondiale.  Ma non per ciò che rappresenta o produce, ma per ciò che minaccia o smentisce!

In questi mesi i nostri campus sono stati in fermento. Studentesse e studenti, con a fianco i loro docenti, hanno messo in evidenza tematiche importanti: prima la questione climatica, poi il diritto allo studio, ora la pace minacciata dai folli venti di guerra di questi giorni. E’ un segnale potente, che ci ricorda quanto l’Università sia ancora percepita come luogo simbolico e concreto di elaborazione critica e di mobilitazione etica.

Contro questo risveglio si è alzato, tuttavia, un rigurgito populista e autoritario. In molte democrazie – più o meno consolidate – si sta registrando un attacco sistemico all’Università e alla sua autonomia. Negli Stati Uniti, con l’amministrazione Trump, si sta assistendo a un’esplicita delegittimazione delle istituzioni accademiche, accusate di “elitismo ideologico” e sottoposte a tagli ai finanziamenti, limitazioni ai visti per studenti stranieri e pressioni politiche. In Ungheria, il governo Orban ha imposto controlli sulle nomine accademiche e costretto, di fatto, molti docenti all’esilio. In Turchia, il presidente Erdogan ha operato trasferimenti di massa del corpo docente e imposto i Rettori in diverse Università.

Perché accade tutto questo?

La risposta è semplice, quanto drammatica: le Università danno fastidio.  Sono, per loro natura, luoghi della complessità, del pensiero critico, dove maturano riflessioni divergenti dal pensiero dominante.  In un tempo in cui si esige semplificazione, conformismo e luoghi comuni, il libero pensiero rappresenta un ostacolo. Nel nostro Paese, per fortuna, non si registrano – almeno finora – derive così eclatanti, ma sarebbe un grave errore cullarci in questa fragile normalità. L’Italia continua ad essere tra i Paesi europei che meno investono in istruzione universitaria: appena lo 0,6% del PIL, contro una media europea dell’1%.  E non è un dettaglio: è la misura di una disattenzione strutturale e prolungata nel tempo! Gli effetti sono noti: precarizzazione delle carriere, fuga dei cervelli, innalzamento dell’età media dei docenti, scarsa attrattività internazionale, limitata autonomia finanziaria.

Le Università, schiacciate tra la riduzione del Fondo di Finanziamento Ordinario e la crescente pressione dei sistemi valutativi sempre più farraginosi, si trovano costrette a operare scelte difficili: rallentamento del turn over, tagli interni anche per le attività ordinarie, aumento delle tasse universitarie. Oppure si vedono costrette a intraprendere l’opzione salvifica: la ricerca di fondi esterni.

E qui veniamo al tema centrale di questo mio intervento: il fundraising come necessità, ma anche ambiguità.

In tutti i Dipartimenti italiani si è ormai instaurata una vera e propria cultura del bando.  Non si tratta più solo di “eccellenza”: si tratta di “sopravvivenza”! La ricerca competitiva è diventata condizione necessaria non solo per finanziare progetti innovativi, ma anche per coprire le spese ordinarie come missioni, pubblicazioni, seminari, eventi, … In questo senso, la stagione dei finanziamenti straordinari – dal Next Generation EU al PNRR – ha rappresentato un’importante boccata d’ossigeno, ma ha condizionato pesantemente i comportamenti all’interno dei gruppi di ricerca.

Naturalmente non voglio dimenticare gli aspetti positivi che la ricerca competitiva porta con sè, oltre a quelli economici: migliora la capacità di lavorare in gruppo, di fare rete, aumenta il coinvolgimento dello staff amministrativo. Ma bisogna anche considerare che questo slancio verso il fundraising ha prodotto effetti collaterali importanti, che meritano la nostra attenzione critica.

Analizziamoli per punti.

  1. Ampliamento dei divari

Il primo effetto collaterale è l’accentuazione dei divari interni al sistema universitario:

  • Divari generazionali: i più giovani, nativi digitali e “nativi da bando”, si muovono con maggiore agilità nella progettazione competitiva. I colleghi più anziani, formatisi in un contesto differente, appaiono disorientati.
  • Divari geografici: le Università collocate in contesti territoriali forti, con economie dinamiche e reti consolidate, risultano più competitive rispetto a quelle del Centro-Sud.
  • Divari strutturali: alcune sedi riescono a fare della ricerca un pilastro identitario; altre, pur con ammirevole dignità e profonda dedizione, faticano a mantenere livelli adeguati di didattica. Questo riapre la discussione – mai neutra – sui modelli: teaching university vs research university.
  • Divari disciplinari: settori come medicina o ingegneria sono naturalmente predisposti alla raccolta di fondi esterni. Altri, come le scienze umane, risultano marginalizzati. Noi architetti ci troviamo in una posizione intermedia.
  1. Sovraccarichi di lavoro

La ricerca competitiva comporta fasi complesse: scouting dei bandi, formazione dei partenariati, scrittura progettuale, fino ad arrivare alla famigerata rendicontazione. Tutto questo grava non poco su un corpo docente già saturo di impegni in attività didattiche e scientifiche, ma anche su un personale tecnico-amministrativo spesso sottodimensionato, quasi sempre inadeguatamente formato (sono stati assunti con altre mansioni), e non di rado con età media prossima al pensionamento.

  1. Deriva aziendalistica

La logica del fundraising modifica, anche inconsapevolmente, le traiettorie di ricerca. Si orientano le scelte verso ciò che è finanziabile, non necessariamente verso ciò che è rilevante per l’avanzamento della conoscenza. I giovani ricercatori crescono in un sistema che li induce a selezionare temi spendibili. I bandi europei – quando virtuosi (e non sempre lo sono) – premiano sfide cruciali come la transizione ecologica, digitale, la coesione sociale. Ma in tanti casi, le agende dei finanziamenti sono dettate da logiche meno comprensibili, e l’attenzione viene posta più sulla tabella excel dei punteggi da raggiungere, piuttosto che sull’utilità scientifica o sociale della ricerca da applicare. Quante volte si sono ottenuti dei finanziamenti per la realizzazione di opere che si sono poi rivelate inutili se non addirittura dannose per gli stessi promotori (es. spese di gestione) o per i contesti urbani dove sono collocate?

Il rischio, dunque, quale è? L’abbandono dei temi non “bancabili”, semplicemente perché non hanno mercato. Lo sappiamo bene. Chi oggi finanzierebbe, ad esempio, una ricerca sulla suddivisione del comparto edificatorio nelle Norme Tecniche di Attuazione dei PRG? (non è una citazione a caso: è la mia tesi di dottorato!). Eppure, anche questi temi, apparentemente marginali, rappresentano un tassello fondamentale nella costruzione  del sapere.

Conclusione

Non voglio concludere dicendo che la ricerca di finanziamenti esterni a quelli ministeriali sia il male assoluto da cui doversi difendere, è evidente che non sia così. Io stesso, nel mio ruolo di Direttore di Dipartimento, incito i miei colleghi al fundraising. Ma non è accettabile neppure la narrazione secondo la quale sia la soluzione miracolosa a cui tutti noi dobbiamo immolarci! Serve un atteggiamento consapevole. Un atteggiamento che non rinunci alle opportunità della progettazione competitiva, ma che non dimentichi i suoi effetti distorsivi. Bisogna pretendere che l’Università venga sostenuta adeguatamente dai fondi pubblici e che il fundraising esterno sia una componente aggiuntiva e non predominante per il funzionamento della complessa macchina della ricerca universitaria. Non possiamo accontentarci dei Dipartimenti di Eccellenza, gli unici ad essere finanziati in modo strutturale per sostenere tutte le componenti della ricerca universitaria, e neppure possiamo affidarci solo alla selezione “darwiniana” della competizione tra le sedi o addirittura tra i settori disciplinari.

Dobbiamo difendere – e pretendere – un investimento strutturale diffuso nel sistema universitario. Non solo in termini economici, ma anche di visione: programmazione, reclutamento, supporto amministrativo, valorizzazione delle diversità disciplinari. Dobbiamo rivendicare, con forza, il ruolo dell’UNIVERSITA’ PUBBLICA come presidio di libertà. E non dobbiamo lasciarci ipnotizzare da quel “mantra” che ci viene continuamente ripetuto: “non ci sono risorse, dovete cercarvele fuori.”

Ok va bene lo faremo, ma ricordiamoci che questo è il modello anglosassone d’oltreoceano fondato su grandi fondazioni, alumni multimilionari, una connessione strettissima tra Università, industria e potere economico. Facciamo attenzione perché in questo momento in cui l’Occidente sembra orientarsi acriticamente verso un aumento imponente delle spese militari, non vorrei che ciò giustificasse – magari tra qualche tempo – da un lato il perpetuarsi delle ristrettezze del finanziamento pubblico, e dall’altra l’ineluttabilità della ricerca orientata sulle tematiche belliche, quelle sì lautamente finanziate dalle multinazionali della guerra (a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca!).

Noi abbiamo una storia diversa!

Una storia che parla di sapere pubblico, di accessibilità, di pluralismo, di inclusione. Se esiste uno stile di vita europeo, molto si deve a questa matrice culturale, che è nata ed è stata custodita gelosamente proprio dalle nostre Università pubbliche.

A noi, dunque, il compito di continuare a difendere questo bene prezioso!

5 Giugno 2025

PROGETTO DI AMPLIAMENTO DEL CAMPUS DI PESCARA: TERZO INCONTRO CON GLI STAKEHOLDERS

Giovedì 5 giugno si è tenuto presso il Dipartimento di Architettura di Pescara il terzo incontro didattico di partecipazione con gli Stakeholders del progetto di ampliamento del Campus di Pescara.

L’incontro è servito per verificare lo stato di avanzamento delle idee progettuali in fase di elaborazione all’interno dei Laboratori di Laurea dove sono attualmente impegnati decine di studenti e docenti dell’area Politecnica dell’Università G. d’Annunzio.

L’incontro rappresenta un momento di confronto e di verifica intermedia all’interno del processo partecipativo “dal basso” che ha contraddistinto fin dall’inizio questo progetto di ampliamento della sede universitaria pescarese.

Sono stati presentati gli sviluppi progettuali work in progress dei Laboratori di Laurea sui singoli lotti funzionali individuati dal Masterplan presentato al pubblico il 2 dicembre 2024.

Sono state condivise con la comunità di esperti di settore, associazioni di categoria e del terzo settore, alcune intenzioni progettuali con l’obiettivo di ricevere consigli e
suggerimenti utili.

Tutto ciò ai fini di poter passare alle fasi successive: 1) l’ultimazione dei lavori dei
Laboratori di Laurea con le tesi di luglio (DdA); 2) la predisposizione del bando di gara per la realizzazione del primo lotto di ampliamento sulle aree di proprietà (UdA), sulla base delle indicazioni e dei requisiti progettuali emersi dai Laboratori di Laurea.

L’appuntamento del 5 giugno p.v. segna quindi un ulteriore importante passo nel progetto di riqualificazione urbana, che grazie al coinvolgimento attivo della comunità locale si conferma come un modello partecipativo efficace per costruire una visione condivisa di Cittadella Universitaria integrata con il tessuto urbano che sia quanto più possibile aderente alle esigenze e i desiderata dei futuri fruitori del progetto.

30 Novembre 2024

SUMMER SCHOOL 2024: MASTER PLAN CAMPUS PINDARO

Il 2 dicembre presso l’Aurum di Pescara sono stati presentati i risultati della Summer School 2024 del Dipartimento di Architettura di Pescara, un workshop di 12 giorni full immersion che quest’anno è coinciso con i programmi d’interscambio europei (BIP) e ha visto la partecipazione di circa 200 studenti provenienti da 15 atenei di 12 paesi europei.

L’oggetto dell’esercitazione progettuale è stato l’ampliamento del Campus universitario pescarese, che interessa diverse aree di proprietà pubblica che si affacciano su viale Pindaro. Il programma e la locandina dell’evento si possono scaricare di seguito.

La Summer School è stata il primo contributo dei Dipartimenti Politecnici (Architettura e InGeo) al progetto di ampliamento, ed è servita a elaborare una visione complessiva, il masterplan.

L’impegno dei Dipartimento Politecnici pescaresi proseguirà con il secondo contributo, i laboratori multidisciplinari di laurea appena iniziati, che si concluderanno con le tesi della sessione estiva 2025 (aprile-luglio).

I laboratori di laurea approfondiranno i progetti sui singoli lotti funzionali individuati dal masterplan, e consegneranno al nostro Ateneo il materiale propedeutico che gli consentirà di dare avvio alla successiva fase attuativa, la predisposizione dei bandi di gara per il Progetto di Fattibilità Tecnico Economica previsto dal Codice degli appalti.

Si inizierà dalle aree di nostra proprietà alle spalle del Polo Pindaro dove il masterplan prevede l’edificio della Scuola Politecnica (aule, uffici, laboratori), l’aula magna, la biblioteca centrale del Campus, gli spazi di relazione pubblici, le piazze e le aree verdi.

Oltre alle aree di proprietà dell’Università, il masterplan estende il proprio interesse anche ad altre aree pubbliche, in particolare quelle della ex Caserma Di Cocco (proprietà del Ministero della Difesa) e quelle della Caserma dei Vigili del Fuoco (proprietà Demanio dello Stato).

E’ chiaro che il processo di ampliamento dell’Università su queste aree, soprattutto quella dei VV.FF., ha tempi dilatati perché è necessario prima individuare una delocalizzazione adeguata e soprattutto provvedere a realizzare la nuova caserma.  Si parla quindi di anni, ma è importante fin d’ora sottolineare l’importanza che queste strutture hanno nel progetto complessivo di ampliamento dell’Università.

In quelle aree il Masterplan localizza alcune strutture indispensabili per conferire competitività all’Università pescarese: la casa dello studente con annessa foresteria, nella caserma dei VV.FF., e l’incubatore di impresa per start up e spin off, nella ex caserma Di Cocco e nel parco retrostante (che naturalmente resterebbe di uso pubblico).

E’ nostra convinzione, che nel pieno rispetto delle esigenze operative delle attuali caserme e con i tempi necessari affinché le delocalizzazioni effettivamente rappresentino un valore aggiunto per la loro funzionalità, se si impedisse all’Università di espandersi sull’area delle caserme di viale Pindaro, si compirebbe un duplice errore.

In primo luogo, si ridimensionerebbe l’idea di “cittadella universitaria aperta alla città”, che renderebbe maggiormente competitiva l’Università e rilancerebbe tutta l’area di Porta Nuova.

In secondo luogo, i primi ad essere penalizzati dalla localizzazione attuale, sarebbero proprio i Vigili del Fuoco perché in una città di 120mila abitanti (che per altro sta apprestando a fondersi con due città confinanti), su cui giornalmente ne gravita il triplo, la caserma dei VV.FF. deve essere posta in una posizione baricentrica e soprattutto in diretta connessione con gli svincoli della viabilità veloce.

L’area di Viale Pindaro non ha questi requisiti, anzi ha un ulteriore “problema” rappresentato dai flussi lenti degli studenti che si muovono prevalentemente a piedi, in bicicletta o col mezzo pubblico, che conferiscono all’intera zona una forte propensione verso la pedonalizzazione o quantomeno la limitazione delle velocità di transito (zona 30). Che non sono esattamente le caratteristiche che dovrebbero avere le strade di accesso dei veicoli dei VV.FF.

Se si confermasse la presenza delle caserme nella zona universitaria di viale Pindaro anche nel futuro, si ripeterebbe una situazione che la città ha già subito anni or sono quando si è vista precludere la permeabilità, visiva e funzionale, verso il porto turistico dall’edificio della Guardia di Finanza: del tutto legittimo dal punto di vista delle procedure amministrative, del tutto “insensato” dal punto di vista delle strategie urbanistiche!

Tornando al contributo dei Dipartimenti Politecnici UdA al progetto di ampliamento del Campus di Pescara, possiamo dire che è un’esperienza unica nel suo genere nel panorama nazionale: l’Università che, avendo esigenza di ampliare le proprie strutture, dà vita ad un processo partecipativo “dal basso” coinvolgendo centinaia di persone: decisori pubblici, esperti di settore, portatori di interesse, associazioni di categoria e del terzo settore, l’intera comunità di docenti, studenti e amministrativi.

Un vero e proprio “laboratorio di progettazione partecipata” che vede protagonisti gli stessi fruitori del progetto.

Si tratta – come è evidente – di un’esperienza didattica, che però può dare un apporto fattivo non solo alla comunità accademica, ma a tutta la città contribuendo a dare forma a quell’idea di Cittadella universitaria aperta alla città che tutti noi, da tempo, auspichiamo.

Dal punto di vista delle politiche universitarie pescaresi questo progetto rappresenta una svolta epocale. Dopo decenni di interminabili discussioni accademiche, di “stop and go”, di “allettanti” soluzioni alternative, che di fatto hanno bloccato lo sviluppo dell’Università per molti anni, finalmente la comunità accademica si è trovata d’accordo sul progetto di ampliamento che conferma la vocazione universitaria di questa parte di città. E di questo dobbiamo rendere merito al nuovo Rettore.

Io mi auguro che grazie a questa metodologia di “coinvolgimento dal basso”, vedremo crescere intorno a noi una comunità non solo di studenti e di docenti, ma di residenti, di associazioni, di imprenditori, di commercianti, di professionisti… che si innamora di questo progetto, lo prende a cuore e lo fa suo, avendone intuito l’importanza strategica per l’Università, ma soprattutto per la città!

I diversi lotti funzionali previsti dal masterplan di ampliamento del Campus d'Annunzio a Pescara
Il masterplan di ampliamento del Campus d'Annunzio a Pescara. 1 viale Pindaro; 2 strada verde; 3 fermata FS; 4 Parco Di Cocco; 5 Casa dello studente e foresteria; 6 Scuola Politecnica; 7 Laboratori; 8 Biblioteca e aula magna
Le tavole esposte alla mostra del masterplan di ampliamento del Campus d'Annunzio a Pescara
Alcune immagini tratte dalla mostra del masterplan di ampliamento del Campus d'Annunzio a Pescara
Il Messaggero 03.12.24
Il Centro 03.12.24
Il Pescara 16.12.24
Il Messaggero 19.12.24
21 Febbraio 2022

UNA RIFLESSIONE SUL PNRR A PARTIRE DALLA VICENDA EX COFA A PESCARA

Torno ad occuparmi di un argomento di politica universitaria locale (l’ampliamento della sede universitaria di Pescara nelle aree dell’ex mercato ortofrutticolo) per esporre la mia posizione e per fare una riflessione di carattere più generale sull’utilizzo dei fondi di finanziamento del PNRR. 

Nei giorni scorsi il CdA della mia Università (di cui faccio parte) ha posto in votazione la proposta di partecipare al bando dell’Agenzia della Coesione Territoriale per la realizzazione nell’area ex Cofa di Pescara di un edificio universitario denominato “EASSITECH (Ecosistema dell’Adriatico per la sostenibilità, salute, clima e innovazione tecnologica)”. I principali partner di questa iniziativa oltre all’Università G. d’Annunzio (soggetto proponente) sono: Regione Abruzzo, Comune di Pescara, Confindustria Chieti-Pescara, Camera di Commercio Chieti-Pescara, Fondazione Ud’A, Università Politecnica delle Marche.

Io già in diverse occasioni – ricordo, ad esempio, un convegno sull’argomento tenutosi nella scorsa primavera (vai al link) – ho manifestato la mia contrarietà ad investimenti edilizi della nostra Università su aree pescaresi che non siano quelle di proprietà pubblica attigue al Polo Pindaro, dove sorge l’attuale sede universitaria.

Mi riferisco all’ipotesi di qualche tempo fa, che era stata anche riportata dagli organi di informazione locale, di trasferire la sede universitaria pescarese (vai al link) o parte di essa proprio nell’area ex Cofa.  Allora mi opposi con fermezza a quell’ipotesi di trasferimento, totale o parziale, della sede universitaria pescarese in una localizzazione certamente prestigiosa, ma non adeguata alla nostre esigenze.

Ora la delibera assunta del CdA riguarda la stessa area – l’ex Cofa – però un oggetto diverso: non più il trasferimento dell’Università, ma (come si legge nella delibera) – “un contenitore polifunzionale dove vengono svolte attività di innovazione tecnologica, formazione, ricerca e iniziative culturali” … che di fatto è l’Università!”

La delibera assunta, per adesso, ci impegna anche alla copertura delle spese per la progettazione dell’intervento, stimate fino ad un massimo di 200.000 euro, che poi saranno affidate a soggetto esterno.   E’ chiaro però che a questi costi iniziali dovrebbero essere aggiunti quelli (non ancor preventivati) per l’allestimento, gli arredi, le attrezzature, la manutenzione e la gestione nel tempo della struttura.

Più volte, anche in sede di Consiglio di Amministrazione UdA, ho contestato al Rettore prof. Caputi che l’errore più grande che possiamo fare dal punto di vista urbanistico è quello di andare dietro alle opportunità edilizie che si presentano di volta in volta – che prese singolarmente possono anche apparire molto allettanti (come questa) – senza avere una visione complessiva, un’idea di città universitaria che vogliamo perseguire.

Più volte ho sottolineato l’esigenza di portare in discussione, nelle sedi opportune, una visione d’insieme di un Piano di ampliamento e rigenerazione del Campus di Chieti e del Polo di Pescara, (chiamatelo “Masterplan”, chiamatelo “Progetto strategico”, chiamatelo come volete) e poi una volta condiviso il progetto complessivo di sviluppo, programmare un’attuazione per stralci funzionali ogni qualvolta il nostro bilancio ce lo consente o ogni qualvolta si presentano risorse straordinarie, senza più farci distrarre dalle sirene di proposte che non rientrano in questo disegno strategico.

La mia idea – lo ricordo per l’ennesima volta – è che l’ampliamento della nostra Università a Pescara debba concentrarsi sulle aree di proprietà pubblica attigue al Polo Pindaro esistente, senza disperdere energie economiche e intellettive, su altre aree defunzionalizzate che ci sono in città o nell’area metropolitana e che ci vengono generosamente proposte dagli amministratori locali.  Le aree sul retro della nostra Università (quelle a fianco del Tribunale verso via Falcone Borsellino, per intenderci) sono di nostra proprietà: sono state oggetto di una permuta con l’edificio ex Aurum proprio allo scopo di realizzare l’ampliamento del Polo universitario pescarese.  Sempre allo stesso scopo in questi anni l’Università ha deviato il fosso Bardet che tagliava in due quelle aree e ha addirittura commissionato (e pagato) il progetto di ampliamento del “Nuovo Pindaro” ad uno degli studi di architettura più importanti d’Italia.  Per cui mi si deve spiegare la ragione per cui in questi ultimi anni invece di utilizzare quelle aree di “naturale espansione” le abbiamo lasciate in abbandono e siamo andati cercando altre aree su cui ampliarci in giro per la città.

Sarebbe un errore procedere all’ampliamento del Polo universitario in aree diverse da quelle attigue, anche perché ci troveremmo con gli edifici universitari posti in siti satellite distanti qualche chilometro l’uno dagli altri.  La natura dei flussi di utenza delle attività universitarie impone la concentrazione dei servizi e degli spazi per la didattica e la ricerca.  La biblioteca deve essere il cuore pulsante (anche simbolico) della vita universitaria; le aule, i laboratori, i centri di ricerca, gli edifici di servizio per gli studenti (mensa, foresteria, studentato) e quelli a servizio delle attività di III missione (incubatori d’impresa, spazi per startup) devono essere tra loro facilmente raggiungibili perché i fruitori sono gli stessi studenti, docenti e tecnici amministrativi che si muovono quotidianamente da un edificio all’altro del campus a seconda dell’attività che devono svolgere. Le aree pedonali, le piazze, il verde, gli esercizi commerciali, le piste ciclabili, formano la rete connettiva di fruizione pubblica che garantisce la vita del complesso organismo universitario mettendolo in osmosi con il tessuto urbano circostante.  Questo è un Campus urbano!

Per capirci – quindi – se la proposta di un nuovo Centro di eccellenza a servizio delle attività universitarie pescaresi avesse potuto riguardare, anziché le aree ex Cofa, quelle aree in disuso di nostra proprietà sul retro del Polo Pindaro di cui ho detto, oppure la Caserma dei Vigili del Fuoco o la caserma Cocco, attigue alla nostra sede universitaria, io avrei plaudito all’operazione, purtroppo invece così non è, data la natura e i vincoli imposti dal bando stesso.  Ricordiamoci poi che il bando a cui abbiamo partecipato garantirebbe, nel caso risultassimo vincitori, un finanziamento per la realizzazione degli edifici, ma il loro mantenimento, le attrezzature, le manutenzioni, il personale che dovrebbe lavorarci, insomma le spese di gestione ordinaria rimarrebbero a carico delle casse universitarie.

Ampliando l’Università sulle aree di proprietà sul retro del Polo esistente, e coinvolgendo nel processo di rigenerazione la caserma dei VV.FF. e la ex Caserma Cocco (sedi ideali per servizi agli studenti e neo laureati), si trasformerebbe il Polo Pindaro in un vero e proprio Campus urbano; una cittadella universitaria aperta alla città con casa dello studente, foresteria, mensa, spazi di coworking per start up, etc. Tutta la zona di Porta Nuova ne avrebbe un evidente beneficio.

L’ex Cofa, dal canto suo, ha un potenziale enorme, probabilmente è la più pregiata tra le aree defunzionalizzate pescaresi, è comprensibile che gli enti locali chiedano all’Università di farsi promotrice del suo processo di trasformazione.  Meno comprensibile è l’atteggiamento dell’Università che si lascia “tirare per la giacchetta” senza aver ancora messo a fuoco un suo disegno strategico di ampliamento delle strutture universitarie.  Senza parlare del fatto che un’area di waterfront così strategica come l’ex Cofa, cerniera tra la città, il lungofiume e il porto turistico, ha una vocazione evidente per un utilizzo aperto al pubblico.  E il progetto messo a bando non garantisce questo tipo di uso pubblico “aperto” alla cittadinanza: le aule universitarie, i suoi uffici, i suoi laboratori dotati di costose attrezzature, non possono essere di libero accesso.  Tuttalpiù si possono lasciare aperti alcuni percorsi di attraversamento tra le strutture.  E questo non è esattamente quello che ci si aspetta da un’operazione strategica di waterfront che vuole invece spazi pubblici, verde, piazze e attrezzature collettive di libera fruizione, magari di riferimento territoriale, come si vedono in tutti gli waterfront del mondo.

Morale della favola: la delibera del CdA è stata comunque assunta. Io, per le ragioni esposte, ho votato contro. Non è da escludere che il progetto possa essere finanziato dal Ministero… vedremo.

Cosa ci insegna questa vicenda?

Che la logica di aggiudicazione del finanziamento straordinario (fondi europei, PNRR, fondi ministeriali, etc.) vince sulla logica di individuazione delle esigenze collettive.

Le opere pubbliche oramai si realizzano non tanto in ragione di uno studio complessivo dei fabbisogni, delle prospettive e delle sinergie che possono determinare, ma in ragione delle occasioni “random” che derivano dai bandi competitivi di finanziamento.  Può succedere che un’opera pubblica venga promossa sui tavoli decisionali non perché risponde ad una richiesta specifica della collettività, ma perché risponde alle caratteristiche tecniche (in termini di punteggi da attribuire) richieste dal bando di gara.

Quante volte è successo che un progetto europeo si sia trasformato da un fattore di merito ad un problema collettivo? Quante volte la rendicontazione del progetto europeo è diventato il vero obiettivo su cui si sono focalizzati tutti gli sforzi degli enti locali, indipendentemente dall’utilità pubblica di ciò che si sta realizzando? A volte addirittura questo disallineamento tra obiettivi politico-amministrativi (ottenere il finanziamento e rendicontarlo) e obiettivi sociali (ottenere interventi che soddisfino le esigenze reali espresse dalla comunità) porta all’insorgere di fenomeni di rifiuto da parte della popolazione residente (effetto NIMBY).

Attenzione perché se questo ragionamento fosse corretto, a livello nazionale noi ci potremmo ritrovare tra qualche anno ad essere riusciti a realizzare tutti i progetti del PNRR, per poi accorgerci che molte delle opere costruite non sono prioritarie rispetto ai fabbisogni collettivi.

E allora forse sarebbe meglio lasciarci sfuggire qualche “occasione imperdibile” di finanziamento straordinario, concentrandoci solo su quegli interventi che effettivamente rientrano nella visione strategica di città (universitaria) che vogliamo perseguire.

C’è materia su cui riflettere…

Il Messaggero 2 marzo 2022
20 Aprile 2021

IL DIFFICILE RUOLO DI CITTA’ UNIVERSITARIA

Si fa presto a riempirsi la bocca col termine “Città universitaria”, ma Pescara e la sua Università sono davvero fatte una per l’altra?

L’ultima volta che sono intervenuto in sede pubblica sul tema dell’edilizia universitaria pescarese è stato poco più di un anno fa e l’ho fatto attraverso il mio blog con un articolo sull’ipotesi di trasferire la sede universitaria pescarese (vai al link), o parte di essa, nell’area dell’ex Cofa, il Consorzio Ortofrutticolo.

Nel post manifestavo tutte le mie perplessità su questa ipotesi, cercando comunque di mantenere un atteggiamento equidistante, tra le due fazioni cittadine che si erano venute nel frattempo a creare: coloro che si erano “messi in testa un’idea meravigliosa” di avere una nuova sede universitaria in riva al mare e coloro che invece si mostravano freddi se non addirittura contrari a quell’ipotesi.  Allora feci un ragionamento piuttosto complesso – una sorta di Swot Analisi – e descrissi i diversi scenari che si sarebbero potuti verificare, mettendo in evidenza i punti di forza e di debolezza, le opportunità e le minacce, di ognuna delle ipotesi in campo.  A conclusione di quel ragionamento, la mia posizione fu chiara: io ero contrario al trasferimento dell’Università all’ex Cofa!

Le ragioni che mi portavano a quella convinzione erano diverse:

  • prima di tutto perché si sarebbe spaccata in due la comunità accademica pescarese, perché gli spazi a disposizione non erano sufficienti per trasferire tutti i corsi di laurea, per cui alcuni Dipartimenti sarebbero dovuti rimanere in Viale Pindaro;
  • poi la viabilità inadeguata a sopportare un ulteriore carico insediativo;
  • l’assenza del collegamento diretto con la ferrovia;
  • la complessità politico-amministrativa dell’area che poteva rappresentare un rischio di impresa per l’Università (per es. l’iter approvativo non solo del progetto, ma anche delle necessarie opere infrastrutturali aggiuntive sarebbe dipeso non da noi ma da altre amministrazioni);
  • senza contare naturalmente che – guardando la questione dal punto di vista della città – era evidente che: 1) andando via l’Università da viale Pindaro tutta l’area di Porta Nuova ne avrebbe risentito negativamente; 2) l’obiettivo di consentire il pubblico accesso a quelle aree così strategiche per la città, non poteva essere garantito dall’Università, che per sua natura non può consentire la libera circolazione nelle sue aule, nei suoi costosi laboratori, nei suoi uffici. Tuttalpiù si possono lasciare aperti al pubblico alcuni percorsi di attraversamento tra le strutture.

Quello che però emergeva con evidenza da quel dibattito di un anno fa, era la completa mancanza di un’idea strategica del ruolo che l’Università avrebbe dovuto assumere all’interno della città: non c’era un’idea di città universitaria. Gli amministratori locali ci stavano offrendo le loro aree pregiate defunzionalizzate – passatemi l’immagine – così come un mercante arabo offre la propria mercanzia ad un compratore straniero in un bazar del Cairo.   Il Sindaco di Pescara ci accompagnava a visitare l’ex Cofa; quello di Montesilvano la Colonia Stella Maris. Stessa cosa facevano i privati, come i proprietari dell’area ex Di Bartolomeo, prospicienti la sede universitaria.  Iniziò una sorta di “tiro alla giacchetta” dell’Università bancomat che sinceramente mi diede fastidio, ma che soprattutto, con la pianificazione urbanistica aveva poco a che fare.  Ma quel che è peggio è che noi stessi, l’Università G. d’Annunzio, non avevamo – e purtroppo non abbiamo tutt’ora – le idee chiare in merito ad un disegno strategico che possa soddisfare le nostre necessità di ampliamento a Pescara.

Io mi prendo naturalmente tutte le responsabilità che mi competono.

Sono Urbanista, per professione e per ruolo accademico, ho svolto i due mandati istituzionali da Direttore del Dipartimento di Architettura di Pescara, ciononostante non sono stato in grado di far capire neppure ai vertici della mia Università che l’errore più grande in questi casi è di andare dietro alle opportunità che si presentano di volta in volta – che prese singolarmente possono anche apparire allettanti – senza una visione complessiva di quello che si vuole ottenere.  In altre parole, alla base della discussione non c’era un’idea strategica di sviluppo dell’Università G. d’Annunzio dentro la città, ma un patchwork di proposte scollegate tra loro, senza né capo né coda.

E la città di Pescara, purtroppo, da questa punto di vista è recidiva: mi riferisco per esempio al pot-pourri di idee sulle Aree di risulta ferroviarie, alle scelte schizofreniche sulla Strada Parco (da alcuni ritenuta un prezioso corridoio ecologico, da altri indicata come parcheggio estivo), fino ad arrivare alla scelta delle aree dove espandere l’Università.

A questo punto direi che è utile fermarsi un attimo e ricordare a tutti quanti come siamo arrivati a questo punto.

È da vent’anni che il nostro Ateneo manifesta l’esigenza di espandere la sua sede pescarese, sia per mancanza di spazi e di dotazioni, sia per l’obsolescenza delle strutture.

La prima ipotesi è del 1998 (Rettore Cuccurullo, DG Napoleone) a seguito della quale vi fu l’adesione al PRUSST “Città lineare della costa”, successivamente ammesso a finanziamento dal Ministero dei LL.PP.

Poi nel 2001 ci fu l’Accordo di Programma, tra Comune Provincia e Università, per la realizzazione del cosiddetto Nuovo Pindaro, nell’area sul retro della sede attuale, che nel frattempo era stata acquisita dall’Università in permuta con il complesso “ex AURUM”.  Il progetto “Nuovo Pindaro” prevedeva aule, laboratori, uffici, biblioteca, oltre a piazze coperte e scoperte e spazi verdi.

Con il cambio di governance di Ateneo nel 2012 (Rettore Di Ilio, DG Del Vecchio) cambiarono anche le prospettive di ampliamento della sede pescarese.  Il progetto Nuovo Pindaro venne congelato e ridimensionato, stralciando le aule e mantenendo solo l’edificio della Biblioteca.

Alla governance attuale insediatasi nel 2017 (Rettore Caputi, DG Cucullo) va il merito di aver investito risorse per l’adeguamento tecnologico del vecchio Polo Pindaro e di avere riproposto il tema dell’ampliamento della sede di Pescara, anche se come dicevo prima, senza avere le idee chiare sul da farsi.

A Caputi voglio dire, con la franchezza che contraddistingue il nostro rapporto di amicizia, che la scelta migliore a questo punto è una sola: portare a compimento il progetto del cosiddetto “Nuovo Pindaro” nelle aree a fianco del Palazzo Micara!  È l’ampliamento “naturale” essendo le aree attaccate a quelle del vecchio Polo Pindaro.  Per altro sono aree di proprietà dell’Università, acquisite all’interno dell’Accordo di Programma del 2001 specificatamente per questa funzione, per cui se non si dovesse dar seguito al progetto previsto dall’Accordo di Programma, si dovrebbero addurre convincenti giustificazioni! Per altro, per preparare le aree all’edificazione si sono già spese diverse centinaia di migliaia di euro per deviare Fosso Bardet, il canale che attraversava l’area, e si è pagata (correttamente) circa un milione di euro la parcella dei professionisti che hanno redatto il progetto esecutivo della nuova Biblioteca e del nuovo Pindaro.  Ma soprattutto continuare con il progetto Nuovo Pindaro significa portare a compimento il masterplan seguendo un disegno strategico, che se venisse interrotto lascerebbe le strutture universitarie “monche”.

OVVIAMENTE il progetto Nuovo Pindaro va aggiornato in considerazione delle nuove esigenze che nel frattempo si sono venute a determinare (laboratori specialistici, performance ecologico-ambientali, etc.). OVVIAMENTE il progetto va integrato con i nuovi assetti del tessuto urbano entro il quale è inserito. OVVIAMENTE vanno fatte le dovute verifiche di fattibilità, a cominciare da quelle economiche sulla capienza del nostro bilancio di Ateneo.   Ma è essenziale a questo punto tirare una linea, assumere una vision complessiva, condividerla con gli Organi di Ateneo e con i Dipartimenti pescaresi, e cominciare a programmare un’attuazione per stralci funzionali, ogni qualvolta il nostro bilancio ce lo consentirà, avendo chiaro il disegno da perseguire, senza più farci distrarre dalle sirene di qualche altra ipotesi immobiliare – pur allettante – che ci venga proposta da chicchessia.

Il Polo Pindaro, sede pescarese dell'Università G. d'Annunzio, e l'area ex Cofa sul retro del porto turistico.
Progetto "Nuovo Pindaro" completo
Progetto "Nuovo Pindaro: la Biblioteca

Ora un cenno ad un paio di altre “aree calde” che si trovano in prossimità del Polo Pindaro di cui si sono occupati gli organi di informazione locali sempre in prospettiva dell’ampliamento delle strutture universitarie.

La prima è quella costituita dalle due caserme prospicienti tra loro, non distanti dall’Università: quella dei VV.FF. e la ex caserma Cocco con annesso parco pubblico.  Sono due aree molto interessanti di proprietà del Demanio dello Stato e del Ministero della Difesa, che potrebbero essere inserite in un ragionamento complessivo di “cittadella universitaria aperta”, così come d’altronde aveva fatto Stefano Civitarese, quando era assessore del Comune di Pescara, con il suo Master Plan “Polo della cultura e della conoscenza”, ispirato per altro, ad un imponente lavoro di ricerca condotto dal Dipartimento di Architettura e raccolto nel libro “Verso Pescara 2027”.

A mio avviso però, l’interesse di poter intervenire su queste aree con un accordo tra amministrazioni pubbliche (quindi con un iter facilitato ex L. 241/90), non sarebbe tanto quello di soddisfare la necessità di nuove aule: sarebbe contraddittorio –  come detto – rispetto alla scelta che abbiamo già assunto di realizzare la nuova Biblioteca sul retro di palazzo Micara.  Le due caserme invece potrebbero essere ottimi contenitori di attività complementari a servizio della didattica e della ricerca universitaria: si potrebbe pensare, ad esempio, ad una casa dello studente (pubblica) con foresteria nell’area della Caserma VV.FF. e a un incubatore di impresa per start up e spin off nell’area ex Cocco in partnership con la Regione, le associazioni di categoria e altri investitori privati. O anche altre funzioni legate ad es. alla terza missione universitaria.

A proposito di case dello studente (pubbliche o private), chiudo il ragionamento con un commento al progetto apparso di recente sui giornali che interessa le aree ex Di Bartolomeo. Si tratta di aree private, adiacenti al Polo universitario, ma sempre aree private sui cui i proprietari vantano legittimi diritti edificatori, per cui i nostri margini di manovra sono esigui, se non nulli.  Ma siccome sono aree su cui in questi anni si è concentrata una moltitudine di progetti elaborati dal Dipartimento di Architettura e dal Dipartimento di Ingegneria (esercitazioni, tesi di laurea, addirittura una Summer School), credo sia doveroso esprimere la nostra opinione.

Dico subito che non condivido l’impostazione progettuale assunta.

E non è un giudizio sulla qualità architettonica del progetto, firmato da un collega che non conosco, ma che ha tutto il mio rispetto. Io discuto a monte – le precondizioni tecniche e funzionali che sono state poste alla base di quel progetto. Gli infiniti esercizi progettuali che abbiamo fatto fare ai nostri studenti in questi anni, pur presentando una gamma di soluzioni molto diversificata, avevano tutte un filo conduttore, un assioma: creare un sistema di relazioni pedonali, ciclabili, di spazi pubblici, di verde… tra il Polo universitario e il mare passando attraverso le aree Di Bartolomeo, la zona stadio e la Pineta Dannunziana.

Il progetto che vedo pubblicato sui giornali locali (queste al momento sono le mie fonti di informazione) attraverso cosa attua questo importante compito di connessione tra Università, Stadio, Pineta e mare?  Attraverso il parcheggio di un supermercato! E il verde? E la connessione pedonale e ciclabile? E gli spazi di aggregazione? Le piazze?

Certo… se si deve raggiungere la cubatura prevista dalle norme del PRG (che non ho controllato, ma immagino siano state verificate dagli uffici competenti del comune di Pescara), una volta che si mette dentro l’area un supermercato, i parcheggi di legge, la palazzina residenziale, gli accessi carrabili… spazio per altre dotazioni non ne rimane tanto.  E allora il verde e gli spazi pubblici dove si mettono? Nelle aree di scarto! Ossia nei ritagli residuali della viabilità, nelle aiuole, nelle fioriere del parcheggio…

Non entro quindi nel merito del progetto architettonico, discuto – e punto il dito accusatorio – sul paradigma progettuale alla base del progetto, che è il vecchio modo di fare che abbiamo utilizzato per cinquant’anni a partire dal boom economico del secolo scorso, quando le pressioni della rendita immobiliare portavano a realizzare prima i “palazzi” e poi, nelle aree di scarto che rimanevano, si mettevano i famosi 18 metri quadri ad abitante di verde, necessari per vedersi approvare il progetto dagli uffici comunali.  Che è esattamente l’opposto di quello che la buona pianificazione urbanistica suggerisce oggi: prima si progetta la spina dorsale degli spazi di relazione, del verde, della mobilità sostenibile (l’interesse pubblico) e poi, di conseguenza, si progettano gli edifici (l’interesse privato).

È come sempre una “questione di priorità” o se vogliamo di “idea di città”.

Il Polo Pindaro e le aree strategiche che lo circondano.
Planimetria del progetto sulle aree private Di Bartolomeo, prospicienti la sede universitaria di Pescara. Il progetto prevede un supermercato e una palazzina ad uso residenze private per studenti.
Immagine tratta dai media del progetto sulle aree private Di Bartolomeo, prospicienti la sede universitaria di Pescara.
Locandina della giornata di studio sull'ampliamento del Polo Universitario di Pescara
13 Novembre 2019

TRASFERIRE IL POLO UNIVERSITARIO DI PESCARA NELL’AREA EX COFA? NO GRAZIE

Premessa

L’Università G. d’Annunzio come è noto ha due sedi: il Campus di Chieti e il Polo di Pescara. Di recente le cronache locali si sono molto occupate dell’ipotesi di trasferimento della sede pescarese da viale Pindaro all’area ex COFA, un’area dismessa adiacente al porto turistico e al fiume fino a qualche anno fa occupata dal Mercato ortofrutticolo (COFA per l’appunto significa Consorzio Orto Frutticolo d’Abruzzo).

La questione non è banale, anzi è piuttosto complessa e per essere affrontata ha necessità di tempo: analisi, riflessioni, elaborazione di scenari alternativi, insomma di tutto quello che non si può fare sui social che invece prediligono un linguaggio asciutto, comunicativo, “di pancia”.  O bianco o nero!

Ma questa volta non è questione di colore, né tantomeno di cori da stadio.  È in gioco una fetta di futuro non solo della nostra Università, ma anche della nostra città, dell’area metropolitana Chieti-Pescara, e della Regione Abruzzo.

Quindi, come è abituato a fare chi fa il mio mestiere, bisogna prendere in considerazione le varie ipotesi, confrontarle, verificarne la fattibilità non solo tecnica (urbanistica ed economica), ma anche sociale (politica e collettiva).  Insomma, bisogna intraprendere un percorso di approfondimento e di ampia partecipazione alle scelte, che possa poi garantire le condizioni concrete per la trasformazione.

Va detto a beneficio dei non abruzzesi, che quest’area dismessa insieme ad un’altra la cosiddetta Aree di risulta (uno spazio adibito a parcheggio situato di fronte alla stazione di Pescara) sono due “spine nel fianco” delle amministrazioni che si sono succedute: aree potenzialmente straordinarie, sulle quali si sono concentrate una moltitudine di idee progettuali, che però in tutti questi anni non sono mai riuscite a tradursi in progetti reali di trasformazione urbana.

Breve cronistoria dell’ampliamento del Polo Pindaro

È da vent’anni che l’Ateneo G. d’Annunzio manifesta all’Amministrazione Comunale di Pescara l’intenzione di realizzare una serie di interventi finalizzati allo sviluppo e all’ampliamento della sede pescarese. Alla prima richiesta dell’aprile 1998 (Rettore Cuccurullo, DG Napoleone), con la quale si chiedeva al Comune la disponibilità di aree attigue all’esistente complesso universitario di viale Pindaro, è seguita nell’estate del 1999 la proposta di adesione al PRUSST “Città lineare della costa”, programma successivamente ammesso a finanziamento dal Ministero dei LL.PP.

Contestualmente veniva perfezionato, tra Comune Provincia e Università, l’ Accordo di Programma conseguente al Programma Integrato di Intervento denominato “Polo Universitario-Giudiziario” (siamo agli inizi del 2001) che prevedeva la realizzazione di nuove strutture universitarie da articolare su due aree d’intervento: la prima quella dove poi furono effettivamente realizzate le Segreterie studenti (l’edificio che si affaccia sulla rotonda dell’Agip), e la seconda per l’appunto dove avrebbe dovuto sorgere il Nuovo Pindaro, nell’area sul retro della sede attuale, acquisita dal Comune di Pescara in permuta con il complesso “ex AURUM”, già di proprietà dell’Ateneo.  Il “Nuovo Pindaro” prevedeva un edificio lineare posto parallelamente al tribunale dove sarebbero dovute andare le aule, i laboratori e gli uffici dei dipartimenti; un secondo edificio per la nuova biblioteca con spazi studio per gli studenti. I due edifici erano arricchiti da piazze pubbliche coperte e spazi verdi.

Con il cambio di governance di Ateneo nel 2012 (Rettore Di Ilio, DG Del Vecchio) cambiano anche le prospettive di ampliamento della sede pescarese.  Il progetto Nuovo Pindaro viene ridimensionato stralciando l’edificio destinato alle attività didattiche e mantenendo solo l’edificio della Biblioteca.  Il resto è storia recente: nella primavera scorsa il progetto della biblioteca viene sottoposto al parere del Provveditorato delle OO.PP.  Nella relazione del Provveditorato, resa pubblica nei giorni scorsi dagli organi di informazione, si evincono una serie di osservazioni critiche sul sistema di fondazioni adottato e si ritiene il progetto “non meritevole di approvazione”, invitando i progettisti ad ulteriori approfondimenti prendendo in considerazioni un’altra tipologia di fondazioni (in altre parole a sostituire le fondazioni “a platea” con quelle “a pali profondi”). A onor del vero va detto che probabilmente la scelta dei progettisti di optare per le fondazioni a platea fu condizionata dal fatto che l’edificio “Micara” che sorge nella stessa area è stato realizzato con questa tipologia di fondazioni.  Comunque poco male, i progettisti cambiarono le fondazioni e consegnarono all’amministrazione universitaria il progetto revisionato secondo il parere del Provveditorato.  Il progetto della Biblioteca però, nonostante avesse quasi concluso l’iter approvativo, fu “congelato” dalla nostra amministrazione universitaria: non rientrava più nelle nostre priorità dotare la sede di Pescara della biblioteca centrale.

Un assioma: le impellenti esigenze di ampliamento del Polo Pindaro

Sono quindi due decenni che la sede pescarese dell’Università d’Annunzio manifesta la necessità di ampliare le proprie strutture.  L’esigenza espressa inizialmente da Cuccurullo e congelata da Di Ilio, è stata ripresa dal nuovo Rettore Caputi insediatosi nel 2017, che fin da subito dimostra la sua volontà di investire sulle strutture universitarie della città adriatica.

D’altronde l’edificio principale di viale Pindaro è stato costruito nella seconda metà degli anni ’80, ha quasi trent’anni e li dimostra tutti!  Proprio per questo è attualmente in fase di ristrutturazione con un impegno economico complessivo di qualche milione di euro.

Come tutti i colleghi sto seguendo i lavori edilizi e il trasloco temporaneo degli uffici che si stanno effettuando in questi mesi e posso dire a ragion veduta che le esigenze in termini di spazi sono pressanti: servono nuove aule per la didattica, un auditorium, uffici per docenti e tecnici e amministrativi, laboratori specialistici, aree aperte di uso comune, aree riservate allo studio individuale degli studenti, etc.  E serve una biblioteca centrale che possa diventare il cuore pulsante del campus, baricentrica, dotata di mediateca, caffetteria, sale riunioni, spazi pubblici all’aperto, etc.

Le tre ipotesi di ampliamento

Sgomberato il campo dai dubbi sulle necessità di ampliamento e di rigenerazione del Polo Pindaro, vediamo quali sono ad oggi le ipotesi sul tappeto:

  1. Progetto di ampliamento sulle aree retrostanti. Sarebbe il progetto Nuovo Pindaro che andrebbe però aggiornato sulla base di nuove esigenze nel frattempo intercorse, sia in termini di dotazioni (nuovi laboratori, nuove esigenze per aule e uffici) sia soprattutto in termini di fondazioni, per rispondere alle criticità evidenziate dal Provveditorato.
  2. Trasferimento della sede nelle aree ex Cofa. E’ un’idea recente maturata questa estate che prende in considerazione l’ipotesi di uno scambio con la Regione Abruzzo, proprietaria delle aree dell’ex Mercato ortofrutticolo, anch’essa alla ricerca di una sede unificata per i propri uffici sparsi in città.
  3. Progetto “Città della conoscenza”. È un progetto maturato dalla scorsa amministrazione di centro sinistra (Sindaco Alessandrini, assessore Civitarese), per altro sulla base di uno studio precedentemente elaborato dal Dipartimento di Architettura di Pescara dal titolo #VersoPescara2027, dove si indica la possibilità di utilizzare gli edifici della ex Caserma Cocco e della attuale caserma dei Vigili del Fuoco per attività a servizio dell’Università, non aule o uffici, ma studentati e incubatori di impresa.

Quale delle tre ipotesi è preferibile?

Non c’è una risposta corretta e due errate.  Come succede spesso nell’analisi urbanistica di processi di trasformazione urbana complessi, si possono distinguere scenari differenziati tra loro alternativi. Analizziamoli sinteticamente evidenziandone aspetti positivi e criticità.

Scenario_1: Ampliamento Polo Pindaro.

Aspetti a favore:

  • è lo scenario naturale. Esiste un progetto che andrebbe aggiornato e modificato secondo le nuove esigenze;
  • gli spazi e gli indici edificatori sono coerenti con le esigenze universitarie;
  • i terreni sono di proprietà dell’Università, ottenuti dalla permuta dell’ex Aurum proprio a questo scopo;
  • la zona è già ricca di servizi di supporto (attività commerciali, ristorazione, case in affitto, etc.) ed ben servita dal trasporto pubblico (piste ciclabili, svincoli stradali, ferrovia);
  • si continuerebbe ad investire sul Polo Pindaro in sintonia con i recenti investimenti.

Aspetti contro:

  • i problemi geotecnici evidenziati dal parere del Provveditorato richiedono un rafforzamento delle fondazioni e quindi costi aggiuntivi da stimare;
  • l’area del Polo Pindaro è stata oggetto di inondazioni causate da fenomeni di precipitazioni estreme, per questo motivo l’amministrazione comunale ha recentemente provveduto a deviare il Fosso Bardet (il canale che prima attraversava l’area) e ad attuare importanti lavori di potenziamento del collettore e dei sistemi di smaltimento delle acque del viale;
  • il vecchio edificio Pindaro, per quanto ristrutturato, rimane un edificio di trent’anni che ha evidenziato nel tempo una serie di problematiche tecniche dovute all’età;
  • anche gli impianti e le attrezzature dell’edificio Micara hanno problematiche evidenti.

Scenario_2: ex Cofa

Aspetti a favore:

  • l’area è molto interessante, forse la più attraente di Pescara;
  • si potrebbe progettare un Campus tutto nuovo, tecnologicamente avanzato, secondo le esigenze dell’Università in termini di didattica, ricerca e spazi di relazione;
  • sarebbe il Campus più moderno d’Italia e ciò sicuramente rappresenterebbe un valore aggiunto in termini di attrattività;
  • un concorso internazionale di Architettura garantirebbe la qualità architettonica dell’intervento.

Aspetti contro:

  • la situazione amministrativa e politica dell’area è particolarmente complessa. Lo stesso iter autorizzativo potrebbe rivelarsi incerto e ciò rappresenta un rischio di impresa per chi deve investire (tempi incerti);
  • ci sono da verificare i vincoli e le normative esistenti (PRG, Piano alluvioni, esondabilità e geologia dei terreni, etc.)
  • la viabilità è al momento inadeguata. Il carico insediativo portato dall’Università si andrebbe a sommare alla saturazione dei flussi automobilistici sul terminale dell’asse attrezzato. Non ci sarebbe poi la possibilità di un collegamento diretto con la ferrovia;
  • è da verificare se le aree pubbliche della Regione possano contenere tutte le volumetrie di cui necessitiamo per trasferire l’intero Polo universitario di Pescara. Sono infatti assolutamente contrario a prendere in considerazione un’ipotesi di trasferimento parziale (solo alcune facoltà).  Verrebbe meno l’idea di Campus necessaria per creare comunità accademica, creare sinergie tra i corsi di studio e servizi condivisi.

Scenario_3: ex Caserma Cocco e Caserma VVFF

Aspetti a favore:

  • interessante l’idea di rifunzionalizzare le due caserme per attività complementari a servizio della didattica e della ricerca universitaria;
  • si potrebbe pensare ad esempio ad una casa dello studente (Caserma VVFF) e a un incubatore di impresa per start up e spin off (ex Cocco) con una partnership con la Regione, le associazioni di categoria e altri investitori privati.

Aspetti contro:

  • le due caserme per tipologia, stato di conservazione e ubicazione non si prestano ad un utilizzo diretto dell’Università (aule, laboratori, uffici, etc.) e quindi su quelle aree devono essere altri soggetti pubblici e privati gli investitori principali (Regione, ADSU, Ministero);
  • i tempi tecnici e amministrativi per realizzare questa ipotesi sono lunghi (ad esempio bisogna trovare un’area idonea per trasferire l’attuale caserma dei VVFF).

RIASSUMENDO.  La questione può avere quindi risposte diverse a secondo del punto di vista dalla quale si analizza.  Proviamo quindi a fare uno sforzo mettendoci di volta in volta nei panni di ciascuno dei tre attori che hanno un ruolo in questa vicenda misurandone convenienze e rischi (in realtà ce ne sono anche altri di attori, ad esempio i privati proprietari delle aree limitrofe all’ex Cofa, ma ora per semplicità di ragionamento limitiamoci a questi tre).

  1. Dal punto di vista dell’Università.  L’idea di un Campus tutto nuovo, per altro nel luogo più strategico della città, è sicuramente accattivante.  Non si può dire diversamente. Una competizione internazionale garantirebbe un progetto architettonico di qualità e la nostra sede potrebbe diventare una delle più attrattive della fascia medio adriatica. Quali sono gli elementi critici di questa ipotesi?  A parte l’elenco di criticità tecniche (in parte superabili) riportato in precedenza, è il rischio di impresa che induce prudenza.  La complessità politico amministrativa di quest’area potrebbe dare incertezza sui tempi di realizzazione delle opere. Anche le carenze infrastrutturali (viabilità, mezzi di trasporto pubblici, parcheggi) andrebbero sanate con investimenti che non dipendono dalla nostra volontà.  Il quadro economico poi va valutato con molta attenzione e verificato nel suo complesso, anche perché un conto è operare all’interno di uno scambio tra enti pubblici (es. L. 241/90), un altro è mettere a bilancio il costo di acquisto di terreni privati qualora le aree pubbliche fossero insufficienti a soddisfare le nostre esigenze di ampliamento.  Per altro la Corte dei Conti potrebbe intervenire dicendo la sua in considerazione della permuta con l’ex Aurum di cui si è detto.  Infine un ragionamento sulle capacità dell’intervento di generare un processo osmotico con la città: l’Università è forse la più grande azienda abruzzese, se non per fatturato, per numero di fruitori.  Come tutte le Università ha la capacità di creare intorno a sé un indotto di attività che rendono viva la parte di città in cui è localizzata: attività commerciali, attività di servizio, spazi di relazione, case in affitto, etc.  Spostarsi in nuova parte di città significa rimettere in moto da capo il meccanismo e naturalmente ci vuole tempo per metterlo a regime; bisogna anche capire in che modo la zona della Marina può essere spontaneamente sensibile alla pressione osmotica dell’Università.
  2. Dal punto di vista della Città.  Quale potrebbe essere l’ideale processo di trasformazione delle aree ex Cofa per Pescara e i suoi cittadini?  Non c’è dubbio che la soluzione migliore sarebbe localizzare lì una dotazione territoriale di scala ampia e di fruizione pubblica che faccia da attrattore per flussi di visitatori anche internazionali.  Le città moderne si distinguono anche per l’attrattività delle loro dotazioni territoriali: a Genova si va per visitare l’acquario, a Bilbao per il museo Guggenheim, a Parigi Euro Disney è diventata un’attrazione che richiama visitatori da tutto il mondo al pari della Tour Eiffel.  Per quale motivo si viene a Pescara? La città ha una serie di importanti attrezzature alla scala territoriale: porto, aeroporto, polo giudiziario, stadio, shopping area diffusa, la stessa Università, etc., ma sono ancora insufficienti per giustificare l’inserimento della città nei grandi circuiti economici e turistici europei.  La Vision che il Dipartimento di Architettura un paio di anni fa ha costruito con la ricerca #VersoPescara2027, suggeriva di rafforzare le dotazioni territoriali della città con alcune proposte strategiche che vadano nella direzione di conferirle nuova attrattività, e quindi riconoscibilità, che si traduce in maggiore competitività nel panorama europeo.  Qual è l’elemento critico di questo ragionamento?  È evidente che sia la fattibilità economica!  L’attuale momento di recessione economica globale, se pur con timidi segnali di ripresa, non garantisce alcuna sicurezza di investimento né privato, né tantomeno pubblico per questa tipologia di funzioni.  In questo momento non temo smentita nel dire che se non è l’Università che investe, l’area ex Cofa è destinata a rimanere congelata per molti altri anni. E allo stesso modo mi sento di dire che se l’Università va via da viale Pindaro, tutta l’area di Porta nuova ne risentirebbe negativamente.  Anche se fosse sostituita dalla Regione, che ha altri flussi di utilizzatori e altre fasce orarie di utilizzo.
  3. Dal punto di vista degli Enti locali.  E infine quali ragioni spingono la Regione Abruzzo a scambiare le aree con l’Università per soddisfare le reciproche esigenze di ampliamento e concentrazione?  Le tipologie degli edifici del Polo Pindaro sono adeguate alle esigenze dell’Ente regionale?   L’Amministrazione comunale di Pescara (prima ho parlato di Città di Pescara, c’è una sottile differenza) in questa vicenda non ha il “portafoglio”, ma ha un ruolo centrale perché “da le carte”: l’iter autorizzativo.  Il Comune sa perfettamente che, se non investe l’Università, l’area ex Cofa è destinata a rimanere defunzionalizzata per chissà quanto tempo ancora.  Però ha capito anche l’importanza della vocazione pubblica e attrattiva dell’area.  Per questo (almeno leggendo sui giornali il dibattito politico) tenderebbe a volere la “botte piena e la moglie ubriaca”: un po’ di Università all’ex Cofa, però un po’ anche in viale Pindaro; la Regione a Pindaro, però altre attività attrattive legate al turismo all’ex Cofa; volumetrie che richiamino investitori all’ex Cofa, però anche ampi parchi pubblici, etc.  Ma attenzione: è proprio il pot-pourri di idee che bisogna evitare!   Bisogna avere un’idea di città, una strategia di futuro e perseguirla con coerenza!

CONCLUSIONI (finalmente direte voi…)

Qui ritorno schematico.

  1. Bene ha fatto il Rettore a sottolineare la necessità di ampliamento del Polo universitario di Pescara. Ricordiamoci che la precedente amministrazione aveva ridimensionato il progetto di ampliamento del Polo Pindaro riducendolo alla sola Biblioteca.
  2. Bene ha fatto il Rettore a guardarsi intorno per valutare le diverse possibilità di ampliamento che offre il mercato. Ha fatto quello che farebbe un buon padre di famiglia che di fronte alle necessità di comperare una nuova casa, riflette se gli conviene ampliare l’appartamento che già possiede ricavandone alcune stanze in più, oppure comperarne uno nuovo più grande in un’altra parte della città.
  3. Ora però il Rettore deve passare dalle enunciazioni ai fatti e farsi promotore di un’idea strategica (un master plan) di sviluppo edilizio, non decidendo da solo, ma facendosi supportare da esperti nell’analisi costi/benefici di tutte le opzioni; sono necessarie attente verifiche di fattibilità tecnica, economica, sociale.  Poi bisogna portare la discussione negli organi deputati, Senato Accademico e Consiglio di Amministrazione, e nei Dipartimenti pescaresi chiamati in causa in prima persona.
  4. È inoltre necessario condividere un percorso di partecipazione con tutte le forze attive sul territorio (sociali, economiche, culturali, etc). È chiaro che l’Università non ha nessuna convenienza a forzare la mano su una specifica soluzione, se la stessa dovesse comportare evidenti reazioni di contrasto in città.  Guidare questo percorso di partecipazione però è compito del Comune, non certo dell’Università.
  5. L’Università ha fatto quello che doveva fare, guardarsi intorno per capire come soddisfare la sua esigenza di spazi. Ora deve decidere una volta per tutte dove sia opportuno investire i propri sforzi, non solo economici, in piena sintonia con la città.  Perché il potenziamento delle strutture universitarie, a cominciare dalla realizzazione della Biblioteca, è un obiettivo strategico decisivo per il futuro non solo dell’Università G. d’Annunzio, ma di tutto l’ambito geografico metropolitano abruzzese.

Il mio orientamento, alla fine di queste riflessioni è chiaro: trasferire il Polo Universitario di Pescara all’ex Cofa? NO, grazie!  Bisogna ridurre al minimo e, laddove possibile, rinunciare a qualsiasi impegno economico inerente all’ampliamento del patrimonio edilizio UdA su aree diverse da quelle di proprietà attigue a quelle esistenti.  Portare in discussione, negli organi accademici, prima una delibera quadro che sancisca i principi (l’idea di sviluppo) e poi un programma edilizio dettagliato, Master Plan per la riqualificazione del Campus di Chieti e del Polo di Pescara (aggiornamento del “Nuovo Pindaro”).  Infine una volta condiviso il progetto complessivo di sviluppo, bisogna programmare un’attuazione per stralci funzionali ogni qualvolta il nostro bilancio ce lo consenta o ogni qualvolta si presentino risorse straordinarie, senza più farci distrarre dalle “sirene” di proposte – pur allettanti – che però non rientrano in questo disegno strategico.

Area ex Cofa zenitale
Polo Pindaro zenitale
06 - Panoramica aree ex Cofa
Progetto "Nuovo Pindaro" completo
Planimetria generale Nuovo Pindaro - visione notturna
Biblioteca - Planimetria (i settori 7, 8 e 9 sono il sedime dove dovrebbero sorgere gli edifici delle aule dei dipartimenti)
Progetto "Nuovo Pindaro: la Biblioteca
Biblioteca - Ingresso
Biblioteca Visione notturna lato piazza
Biblioteca - vista dall'interno
Biblioteca - Ingresso
Biblioteca - Piano terra
Biblioteca - sezione longitudinale
Biblioteca - Sezione longitudinale

Rassegna stampa del 13-14 novenbre 2019

Il Messagero 14 novembre 2019
Il Centro 14 novembre 2019
MaPerò - Blog di Lilli Mandara
Rete8 14.11.19
TG£ Abruzzo 14.11.19

Rassegna stampa del 30 novembre 2019

Il Centro 30.11.19

Rassegna stampa del 12-13 dicembre 2019

Il Messaggero 13.12.2019
Il Centro 13.12.2019
MaPerò - Blog di Lilli Mandara
26 Gennaio 2018

AREE DI RISULTA DI PESCARA 30 ANNI DOPO

Tempo fa, con lo spirito di amicizia che ci lega, feci una scommessa con il Sindaco di Pescara Marco Alessandrini che sarei oggi ben felice di onorare.   L’oggetto della “sfida” era la trasformazione delle aree di risulta all’interno del suo mandato elettorale; eravamo circa a metà ed io giudicavo i tempi non idonei (vedi precedente post sulle aree di risulta). Il Dipartimento di Architettura aveva appena consegnato il voluminoso dossier di ricerca “Verso Pescara 2027”, frutto della convenzione con il Comune, dove avevamo costruito una visione strategica della città basata sulla trasformazione di una decina di aree, tra cui quelle di risulta. Io sconsigliai al Sindaco di partire proprio da lì, per la complessità delle vicende politiche che le hanno riguardate e per il periodo di recessione economica, che rendeva complicata la possibilità di attrarre investimenti adeguati.  “Bisogna avere il coraggio di aspettare tempi migliori” – dicevo – “oggi non mi pare ci siano le condizioni e il rischio è di giocare al ribasso”.

Le aree di risulta sono infatti vocate a contenere funzioni ad uso pubblico di scala metropolitana, capaci di attrarre flussi di fruizione adeguati a garantire la piena vivibilità della zona che, non dimentichiamolo, come tutte le aree prospicienti le stazioni ferroviarie, è particolarmente delicata sotto il profilo sociale e della sicurezza. Si rendono quindi necessari investimenti e investitori non ordinari, che in un momento di recessione non sono facili da reperire. Il Sindaco non seguì il mio consiglio, ma io ne ammirai comunque la tenacia nel voler affrontare di petto un tema così complesso, che se ben condotto poteva effettivamente cambiare il volto del centro cittadino.

Oggi a distanza di un paio di anni dalla scommessa, Il Messaggero mi chiede una riflessione sui tempi di realizzazione dell’opera ed io non posso che apprezzare che il progetto abbia fatto dei passi avanti, anche per merito del nuovo assessore Civitarese: ha superato la fase delle valutazioni ambientali, ha messo a punto l’assetto economico finanziario ed è pronto ad approdare in Consiglio per la variante urbanistica. Purtroppo però devo anche rilevare che il momento per la discussione consiliare non è dei migliori: stiamo entrando nel vivo della campagna per le elezioni politiche 2018, che probabilmente rimescoleranno le carte degli assetti politici nazionali e certamente non favoriranno la pacatezza delle posizioni su questo tema. Non dimentichiamo poi che siamo a circa un anno dalla scadenza naturale del mandato del Sindaco: c’è il rischio di non riuscire a trovare le convergenze politiche capaci di portare in approvazione lo studio di fattibilità, o (forse ancora peggio) di riuscire faticosamente a strappare al consiglio comunale un’approvazione che consentirebbe di avviare le procedure di appalto per poi doverle fermare nuovamente se dovesse esserci un cambio politico alle elezioni amministrative della prossima primavera.

Io spero ancora di perdere la scommessa e di pagare felicemente pegno assistendo in prima fila alla cerimonia del taglio del nastro, ma se così non fosse, mi domando: dopo trent’anni di infinite polemiche sul futuro delle aree di risulta perché non chiedere a tutte le forze politiche un “armistizio”, magari sancito nei programmi elettorali delle prossime amministrative 2019, in cui ognuna si impegna a dare una mano per favorire il raggiungimento di un risultato condiviso?  Basterebbe trovarsi d’accordo su una “road map” attuativa che chiarisca gli obiettivi comuni e le metodologie partecipative per poterli raggiungere. Senza buttar via quanto è stato fatto, ma lasciando aperta la possibilità di miglioramento dello scenario progettale complessivo, magari anche prevedendo fasi attuative differenziate. Avremmo un intero mandato elettorale davanti e probabilmente anche un periodo economico più favorevole di quello appena trascorso che consentirebbe tra l’altro di alzare l’asticella delle prestazioni da richiedere al progetto di trasformazione più importante della nostra città, sul quale Pescara – è bene ricordarlo – si gioca una buona fetta del suo futuro.

Il Messagero 27.01.18 (articolo di Paolo Mastri)
Il Messaggero 28.01.18
Il Centro 04.02.18
Il Messaggero 06.10.18
Il Messaggero 05.10.18
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