GLORIOSO PASSATO E INCERTO FUTURO DELL’EX CEMENTIFICIO DI PESCARA
Colgo l’occasione della presentazione dello straordinario reportage fotografico di Luciano D’Angelo che verrà presentato in anteprima il 26 novembre 2024 presso il Dipartimento di Architettura di Pescara, per fare una breve riflessione sul futuro dell’ex cementificio di via Raiale a Pescara.
Costruito negli anni Cinquanta in prossimità delle sponde del fiume, è stato al tempo stesso testimone e protagonista della crescita della città adriatica, rappresentando non solo un simbolo dello sviluppo edilizio di quegli anni, ma anche un elemento fondamentale per l’occupazione locale.
La vita produttiva dell’impianto ha cominciato a indebolirsi con la fine della fase di espansione della città, quando dal mercato edilizio è venuta meno la richiesta di cemento da costruzione, ma soprattutto quando sono cominciati a manifestarsi i primi segnali di incompatibilità del cementificio con il tessuto urbano circostante ed i suoi abitanti. Se negli anni del boom economico si era disposti a sacrificare sull’altare dello sviluppo e dell’occupazione le più elementari precauzioni ambientali, venuta meno la fase propulsiva del secolo scorso con la sua contropartita sociale, in tutta Italia incomincia un lento, ma inesorabile processo di dismissione e delocalizzazione dei grandi impianti industriali, che nati ai margini delle città, nel frattempo erano stati inglobati dall’espansione dei tessuti urbani. Ed è così anche per il cementificio di Pescara, che una decina di anni fa è stato dismesso.
La peculiarità di questa struttura consiste in almeno un paio di fattori.
Il primo è legato al luogo dove sorge, a fianco del fiume, lungo il cannocchiale prospettico che collega il mare con la montagna madre, la Majella. Questo luogo, già di per sé così ricco di significati identitari, è poi entrato nella memoria collettiva dei pescaresi anche in ragione del fatto che è lambito dall’asse attrezzato, e di fatto costituisce una sorta di porta di ingresso della città varcata ogni giorno da decine di migliaia automobilisti. Una città che, è bene ricordarlo, è certamente giovanissima, se paragonata ai centri storici millenari italiani, ma non per questo priva di segni della sua storia. E il cementificio, con i suoi fuori scala, con i suoi impianti tecnologici, con le sue ambientazioni post-industriali, come magistralmente ci illustrano le immagini di Luciano D’Angelo, è certamente un luogo della memoria che ci restituisce una connotazione identitaria molto marcata e di grande significato.
Come sappiamo, la conoscenza dei luoghi è legata anche alle velocità di percorrenza.
Se attraversiamo lo stesso territorio con diversi mezzi di locomozione (in auto, in bicicletta, a piedi) le sensazioni che proviamo sono diverse. Nel caso del cementificio di via Raiale, tutti noi abbiamo una consolidata percezione visuale del luogo visto dall’asse attrezzato alla velocità dell’automobile: i grandi serbatoi che piano piano si avvicinano; l’improvviso fuori scala degli edifici che ci sovrastano quando, subito dopo la curva, passiamo a fianco delle strutture industriali; l’imponenza del groviglio degli impianti tecnologici che per un attimo ci rimanda al suo glorioso passato. Il tutto si consuma in pochi secondi.
Quasi nessuno di noi ha idea di che sensazioni si provino entrando a piedi nel micromondo della struttura abbandonata: l’atmosfera intrisa di storia industriale, gli scorci visuali tra i giganteschi impianti e gli skyline delle montagne, i silenzi surreali di un luogo circondato dai rumori, le atmosfere cangianti al mutare della luce del sole. L’immaginazione ci fa rivedere su quel palcoscenico i suoi protagonisti di un tempo: le maestranze che mettevano in scena ogni giorno la rappresentazione della vita di un Italia, orgogliosa ed entusiasta, che stava uscendo dalle macerie della guerra per andare incontro al suo futuro. I magnifici ritratti di D’Angelo degli ex operai ripresi nei luoghi del loro lavoro, esprimono esattamente queste emozioni.
Ora è il momento di pensare al futuro.
È chiaro che l’ex cementificio debba essere destinato a funzioni compatibili con il luogo dove sorge e che queste debbano avere come prerogativa primaria il servizio pubblico o di uso pubblico. Ma per il rispetto del significato di quell’impianto per la città, ciò deve avvenire preservandone la memoria storica. Un’operazione di completa demolizione-ricostruzione che cancelli del tutto il valore testimoniale del sito, sarebbe un’interpretazione riduttiva del contesto storico, ambientale e sociale.
In Europa sono molti gli esempi di ristrutturazione e rifunzionalizzazioni di impianti produttivi dismessi, anche ex cementifici, che nel pieno rispetto delle nuove necessità recuperano le vecchie strutture industriali con sapienti trasformazioni architettoniche che le restituiscono a nuova vita.
Ne sono una dimostrazione le architetture post-industriali di Esch, città nel cuore del bacino minerario del Sud del Lussemburgo un tempo meta dei migranti di tutta Europa, oggi scelta per ospitare gli eventi legati alla capitale europea della cultura 2022. Ma si possono citare anche la casa-studio di Ricardo Bofill, un intervento iniziato negli anni ’70, che ha trasformato, attraverso demolizioni chirurgiche e rifunzionalizzazioni mirate, gli impianti dell’ex cementificio di Barcellona in uno spazio scultoreo in continua evoluzione. Oppure l’ex cementificio West Bund a Shanghai che diventerà un quartiere culturale e ricreativo grazie al progetto conservativo di MVRDV.
Insomma… grazie a Luciano D’Angelo e al suo enorme lavoro, abbiamo elementi su cui riflettere.