DECRETO SVILUPPO E VALIGIA DELLE INDIE
Stimolato dalle domande di Paolo Mastri del Messaggero mi sono ritrovato a riflettere su due argomenti apparentemente distanti tra loro: gli esiti della recente Sentenza del Consiglio di Stato sul Decreto Sviluppo e la vicenda della “Valigia delle Indie”. Ne è uscita fuori un’intervista che vale la pena che vi racconti, perché forse qualcuno può essere incuriosito dalle due storie: una intricata, l’altra intrigante.
__________________
[PM] – Professore a suo parere dopo la recente sentenza del Consiglio di Stato sul Decreto sviluppo, esiste un rischio “paralisi edilizia”? Come potrebbe uscirne il Comune bilanciando incentivi alla rigenerazione urbana e tutela delle aree già densamente urbanizzate?
In effetti la recente Sentenza del Consiglio di Stato, ribadisce quanto già espresso dal TAR a maggio, e cioè che il Decreto Sviluppo e i relativi incentivi volumetrici nelle operazioni di demolizione-ricostruzione, devono essere applicati solo in presenza di particolari condizioni di degrado del contesto urbano, e non in modo diffuso allo scopo di rinnovare il patrimonio edilizio. Ricordiamoci che in Abruzzo agli incentivi volumetrici del Decreto Sviluppo si vanno a sommare quelli della Legge regionale del 2012 arrivando alla possibilità di sfiorare il doppio della volumetria di partenza. Incentivare la rigenerazione urbana attraverso operazioni di demo-ricostruzione è corretto, non fosse altro che per scongiurare nuovo consumo di suolo, ma le percentuali massime degli incentivi devono essere consentite solo in casi eccezionali dove è effettivamente necessario e a determinate condizioni. Ci sarà un effetto paralisi dopo la Sentenza? Non le so dire anche perché le confesso di non sapere quanti altri cantieri o progetti simili a quello di via Oberdan oggetto della sentenza ci sono in questo momento in città. Certo è che gli operatori del settore, ma direi i cittadini tutti, hanno necessità che venga fatta chiarezza su una questione oggettivamente ingarbugliata. Cosa si potrebbe fare? Credo che il Sindaco abbia dato una delega specifica a Marcello Antonelli e questo è un primo passo importate, dato che l’ex assessore all’urbanistica ha certamente le competenze tecniche per occuparsi della questione. Quello che mi auspico è che, seguendo l’esempio di altre Regioni e altre città, si avvii una perimetrazione accurata degli ambiti di rigenerazione urbana, basandosi su analisi e parametri oggettivi, magari distinguendoli per diverse soglie di premialità. E soprattutto che si leghi la possibilità di utilizzo delle percentuali massime degli incrementi volumetrici al raggiungimento di obiettivi che corrispondano a bisogni della collettività, come l’incremento degli spazi pubblici, i servizi collettivi e la sostenibilità ambientale o sociale. Non credo che il problema siano solo le percentuali degli incrementi perché anche un 10% potrebbe essere devastante se applicato male nella zona sbagliata, mentre un incremento anche del doppio rispetto al volume di partenza potrebbe essere idoneo se utilizzato per raggiungere obiettivi di pubblico interesse, con un buon progetto, in una zona correttamente individuata. Come sempre è un discorso legato alla “qualità” della pianificazione urbanistica e del progetto architettonico.
[PM] – Cambiando argomento, dal punto di vista urbanistico quali sono i valori del tessuto edilizio intorno alla stazione di Porta Nuova in cui spicca l’edificio dell’ex Grand Hotel?
Forse perché sono oriundo genovese, forse perché dirigo il Dipartimento di Architettura, spesso mi si chiede un giudizio di valore sulla “bellezza” di Pescara. Di solito rispondo che il concetto di bellezza in Architettura, soprattutto se lo riferisce ad una città italiana, lo si lega principalmente ai centri storici: i borghi medievali toscani, piuttosto che le città rinascimentali padane, o le grandi capitali barocche del centro meridione, etc. Da questo punto di vista è evidente che Pescara paghi lo scotto di essere una città giovanissima. Ma questo non significa che Pescara non abbia una sua storia, e che alcuni aspetti di questa sua storia siano particolarmente “intriganti”. Nella zona della stazione di Porta Nuova ci sono alcune testimonianze architettoniche del primo Novecento molto interessanti, che per altro la Soprintendenza ha già individuato come meritevoli di tutela: innanzitutto il Grand Hotel, di cui meritoriamente il Messaggero si è occupato nei giorni scorsi, e poi Palazzo Perenich, il Museo dell’Ottocento (ex Banca d’Italia), il Teatro Michetti, Villino Bucco ed altri edifici storici.
[PM] – Oltre agli edifici vincolati quali sono gli altri elementi di pregio architettonico in questa zona?
C’è un insieme di edifici che pur non essendo sottoposti direttamente al vincolo storico-architettonico, contribuiscono a creare un tessuto urbano omogeneo tipicamente novecentesco. Hanno elementi stilistici che li rendono facilmente individuabili: il numero dei piani fuori terra, di solito due/tre; le cornici marcapiano, le volute e i rilievi delle facciate; i balconcini con balaustre, le ringhiere in ferro battuto, il rapporto pieni/vuoti, etc. Poi le strade di accesso, ampie e quasi sempre alberate. Insomma, un piccolo pezzo di città novecentesca molto gradevole.
[PM] – La facciata della stazione di Portanuova, che insieme all’ex Grand Hotel conserva la memoria dell’epopea della “Valigia delle Indie”, fu salvata dalla demolizione durante i lavori di ammodernamento dello scalo: è sufficiente questa citazione o si poteva fare di più?
Lei fa riferimento ad una storia, quella della Valigia delle Indie, che è la ragione per cui io prima ho utilizzato l’aggettivo “intrigante” riferito alla città di Pescara. E’ una storia che già dal nome esprime tutto il suo fascino. Fine Ottocento-inizio Novecento, fase matura dell’impero coloniale inglese, un periodo di relativa pace in Europa e nel mondo, prima del caos della guerra mondiale. L’India, il territorio più prezioso e popoloso dell’impero, che necessita di essere collegata con un servizio postale moderno ed efficiente capace di trasportare, oltre alla posta e ai giornali, anche alti funzionari e ricchi viaggiatori. Il canale di Suez appena inaugurato che consente di non dover più circumnavigare l’Africa. Il viaggio da Londra a Bombay, che alterna il treno con la nave, diventa un cult per la ricca borghesia europea, l’equivalente dell’altro viaggio mitico, l’Orient Express Parigi-Istanbul. Questo straordinario percorso internazionale, denominato per l’appunto “Valigia delle Indie”, prima di arrivare a Brindisi per l’imbarco su un piroscafo verso Port Said, fa tappa a… Castellamare Adriatico! E proprio li, di fronte alla stazione, i viaggiatori si trovano ad accoglierli il modernissimo Grand Hotel. Questa storia penso sia sufficiente a far capire come questa parte di città conservi le vestigia del suo passato, al pari di altre zone come la pineta dannunziana con le sue ville liberty, o la parte centrale con gli edifici pubblici del ventennio intorno a Piazza Italia.
[PM] – L’esempio della tutela diffusa nella zona Aurum-Pineta secondo lei sarebbe quindi replicabile anche nel cuore della Porta Nuova novecentesca?
Probabilmente il vincolo puntuale che la Soprintendenza ha posto su alcuni edifici non è ancora sufficiente a garantire la tenuta dell’omogeneità novecentesca di questa parte di città. Le faccio un esempio. Proprio dietro il Grand Hotel su via Orazio, una strada con edifici dall’impronta novecentesca con quelle caratteristiche stilistiche che abbiamo descritto prima, sorge un palazzo moderno, un bel palazzo con una facciata in vetro. Dal punto di vista del progetto architettonico nulla da dire, ma dal punto di vista dell’inserimento urbanistico, quell’edificio risulta essere in evidente contrasto con il contesto urbano. Se pensiamo alle recenti normative urbanistiche nazionali e regionali di cui abbiamo parlato all’inizio, che incentivano la demolizione e ricostruzione con premi volumetrici anche consistenti, è chiaro che il rischio di perdere il valore identitario di alcune zone fragili esiste eccome! So che è difficile trovare il punto di equilibrio tra esigenze di conservazione della memoria storica e incentivi al rinnovo del patrimonio edilizio, ma ci sono alcune scelte che devono essere fatte. Una città come Pescara, così proiettata verso il futuro, se vuole conservare il suo fascino deve custodire gelosamente le testimonianze urbane e le storie che raccontano del suo passato e certamente la storia delle Valigia delle Indie, è – come detto – una fra le più “intriganti”.